Risarcimento danno fumo sigaretta

La Corte di Cassazione torna su una tematica, mai sopita, concernente la possibilità per il fumatore -ovvero, come nel caso di specie, per gli eredi, dopo essere quest’ultimo deceduto per una neoplasia polmonare- di richiedere il risarcimento del danno da c.d. fumo attivo, per avere a suo dire continuato a consumare quotidianamente tabacco, salvo poi ammalarsi.

La pronuncia adottata dai Giudici di Legittimità, interlocutoria e favorevole alle ragioni degli eredi del fumatore, prende piede da un doppio grado di merito, che ha visto il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi rigettare la domanda di risarcimento, sul presupposto che il consapevole consumo di tabacco, da parte del fumatore -già dagli anni 60 dello scorso secolo era risaputa la dannosità del tabacco-, recide ogni nesso causale, e la correlata ed anche solo concorrente responsabilità del monopolio produttore di sigarette.

A tale approccio, confermato nei due gradi di giudizio, ha fatto così seguito un ricorso per cassazione da parte degli eredi del defunto fumatore, i quali hanno lamentato, attraverso quattro separati motivi di ricorso, l’erroneo inquadramento concettuale e normativo della responsabilità della responsabilità del produttore, e soprattutto la fattiva condotta di quest’ultimo, nei cui ambito colposo, specie sul piano informativo, si inserisce l’attitudine volontaria del fumatore, inidonea assolo ad elevarsi a causa unica dell’evento. E ciò oltremodo alla luce del fatto che la nicotina, presente nelle sigarette, genera una assuefazione capace di inibire la scelta del fumatore di interrompere il consumo di tabacco.

Come accennato, la Corte di Cassazione annulla con rinvio la sentenza di rigetto assunta in primo grado e poi confermata in appello, ritenendo il convincimento palesato dai Giudici territoriali del tutto erroneo ed approssimativo.

Sotto tale ultimo ambito, per i Giudici di Legittimità, la lettura dell’antefatto dispensata nelle fasi anteriori di lite è del tutto viziata nel metodo, nella misura in cui l’atto di libera scelta del fumatore non viene inserito nella complessa fattispecie di produzione e messa sul mercato dei tabacchi.

Il fatto interruttivo del nesso causale, come prima cosa, non può che essere inteso quale circostanza del tutto atipica ed eccezionale, ed in detti termini la condotta colposa del danneggiato può rilevare nella complessiva dinamica anche quando sia, come nel caso del fumatore, obiettivamente colposa.

La condotta del fumatore, tuttavia, per assurgere a causa sopravvenuta e sufficiente da sola a causare l’evento (art. 41.2 codice penale), deve essere indipendente dal fatto del presunto responsabile, in totale autonomia, così da sfuggire al controllo e alla prevedibilità di quello. Si ha pertanto interruzione del nesso causale soltanto quando il fatto del fumatore si ponga come unica ed esclusiva causa dell’evento di danno, così da privare di rilievo causale e giuridico il precedente comportamento dell’autore dell’illecito.

Non si registra interruzione del nesso causale quando, essendo ancora in atto il processo produttivo del danno avviato dalla condotta illecita del responsabile, nella situazione di potenzialità dannosa da questi creata si inserisca un comportamento di altro soggetto, volto a fronteggiare oppure neutralizzare le conseguenze di quell’illecito.

Ed allora, applicati i corollari vigenti in ordine al canone di causalità dell’evento, la lettura operata dai giudici di merito, volta a focalizzare la sola scelta volontaria e consapevole di fumare, appare del tutto erronea, perché non approccia alcun raccordo con la altrettanto volontaria scelta di commercializzare il tabacco, e se quest’ultima abbia avuto una incidenza, pure in termini di concausa, nella realizzazione dell’evento.

Non viene in tal modo parametrato il tema di indagine alla particolare natura della vendita di tabacco, da intendere quale attività pericolosa, e pertanto i rischi ed i ritardi normativi della prevenzione non possono ricadere sul solo consumatore, bensì pure sul produttore.

La disciplina codicistica propria delle attività pericolose, una volta applicata al caso di specie, avrebbe imposto una prova liberatoria specifica e particolarmente rigorosa, diversa dal riscontro del caso fortuito (comprendente il fatto colposo della vittima).

Non può, altresì, ricadere sul solo fumatore il fatto, asseritamente notorio, di dannosità del fumo, considerato al riguardo la necessità di una concreta informativa sul rischio cancerogeno.

Una simile informativa non può dirsi sussistere, nei termini invocati dal produttore, se si considera essere stato introdotto solo con legge 584/1975 il divieto di fumare in determinati luoghi, e del tutto solo dall’anno 1991 (DM 425/1991) sussiste il divieto di pubblicità televisiva, quale primo fattore deterrente, oltre alla L. 428/1990, che ha informato i consumatori sulle possibili implicazioni cancerogene.

La Corte ha così rimesso alla Corte d’appello un nuovo vaglio sulla responsabilità del monopolio per i danni da fumo attivo. Di sicuro, quale che sia lo scrutinio adottato, la vicenda giungerà nuovamente in cassazione per un forse definitivo responso (Corte di Cassazione, Terza Sezione Civile, Ordinanza 25 Luglio 2025 N. 21464).

Studio Legale Avvocato Francesco Noto – Roma – Cosenza – Napoli

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