Può il chiamato rinunciare all’eredità dopo avere ricevuto un bene in donazione dal defunto?
Si tratta di una situazione tutt’altro che inusuale, tal da costituire oltremodo un usuale cliché attuativo, allorquando il disponente -quasi sempre un genitore- aliena a titolo gratuito i beni ai propri figli, salvo a quel punto lasciare solo debiti, una volta passato a miglior vita.
Questa è la premessa da cui si diparte la recente decisione assunta dalla Corte di Legittimità, chiamata a statuire su un ricorso promosso dai creditori del de cuius, fermi nel sostenere che i figli, una volta ricevuto un immobile in donazione, dovevano considerarsi per plurime ragioni eredi taciti del debitore, e dunque successori nel debito contratto dal donante.
La controversia, in dettaglio, sorge a seguito di notifica di due decreti ingiuntivi, emessi in danno dei figli del defunto, considerati eredi taciti dai richiedenti. Il provvedimento monitorio veniva così opposto dagli ingiunti, fermi a loro volta nel denegare la propria legittimazione passiva, e di riflesso lo status di eredi, in alcun momento desumibile dalla intervenuta donazione dell’immobile.
I creditori, costituitisi in giudizio, rimarcavano essere la parte ingiunta donataria in conto di legittima, ed altresì, dopo la morte del donante, avere esercitato sui beni donati azioni a difesa del possesso, incompatibili con la posteriore rinuncia all’eredità, costituendo di contro una tangibile ipotesi di accettazione tacita. Il Tribunale adito ha accolto l’opposizione, ed ancora una volta la parte creditrice, dinanzi al giudice di appello, sostiene essere lo status di erede desumibile non soltanto dall’accettazione della donazione, ma al contempo dal possesso dei beni ereditari per un lungo periodo senza stesura di inventario, e pure dall’esperimento di rimedio possessorio.
Il giudice dell’Appello respinge il gravame proposto dal creditore, ritenendo avere la donazione effetti traslativi immediati, sì da accordare al donatario la facoltà di esperire azioni possessorie non già quale chiamato all’eredità -fattispecie comunque autorizzata dall’art. 460 cc-, bensì in veste di proprietario.
Inoltre, rilevava il Giudice territoriale come la donazione non sia incompatibile con la rinuncia all’eredità, anche nell’ipotesi di donazioni in conto di legittima, secondo quanto disposto dall’art. 552 cc (questi prevede infatti: “Il legittimario [536 ss. c.c.] che rinunzia all’eredità [519 c.c.], quando non si ha rappresentazione [467 c.c.], può sulla disponibile ritenere le donazioni [769 ss. c.c.] o conseguire i legati a lui fatti [521 c.c] …”).
La parte soccombente in entrambi i giudizi di merito decide da ultimo adire la Suprema Corte di Cassazione, denunciando l’erronea esegesi del Giudice di appello, nella misura in cui ha affermato produrre l’atto di liberalità immediati effetti traslativi, tali da accordare alla parte donataria l’esercizio di poteri possessori iure proprietatis, esimendola dall’obbligo di redigere l’inventario.
Di contro, la mancata stesura dell’inventario, una volta registrato il possesso dei beni ereditario, avrebbe importato l’acquisto della qualità di erede tacito.
Tutti i motivi di ricorso, oggetto di congiunto scrutinio, sono stati respinti nella sede di legittimità.
La Corte di Cassazione è giunta a disattendere il ricorso, ritenendolo infondato.
Nello specifico, infatti, ha rilevato come, l’accettazione ex lege contenuta nell’art. 485 cc, richieda determinati e specifici requisiti (delazione, possesso e mancata redazione di inventario nel termini di mesi tre), necessari al fine di registrarsi una accettazione indipendente da uno specifico atto di impulso del chiamato.
Tale fattispecie codicistica, tuttavia, rileva la Corte, non è aderente al caso scrutinato, che riguarda la eterogenea ipotesi acquisizione di immobile mediante atto di liberalità operato in vita dal defunto.
In altri termini, il possesso del donatario ed il possesso del chiamato all’eredità costituiscono fattispecie del tutto eterogenee, in quanto il primo è da correlare ad un pieno diritto dominicale, il secondo è un possesso senza alcuna titolarità reale, solo a quel punto deputato a generare l’automatismo di cui al citato articolo 485 cc.
Per effetto della donazione, il donatario diviene proprietario del bene, con possibilità di esperire azioni possessore iure proprietatis, rispetto ad un bene che non entrerà a far parte dell’asse ereditario, salvo esperirsi -anche in via surrogatoria ex art. 2900 cc- l’azione di riduzione avverso la donazione, cosa non avvenuta nell’odierna ipotesi.
Su questa premessa esegetica si innesta la rinuncia all’eredità, pienamente legittima ed in alcun momento preclusa in capo al donatario; secondo quanto sancito dall’art. 552 cc, la rinuncia consente al chiamato ritenere le donazioni ovvero i legati, salvo ancora una volta l’esperimento dell’azione di donazione, in difetto della quale il creditore del de cuius non potrà avanzare alcuna pretesa in danno dei chiamati all’eredità poi rinunciatari (Corte di Cassazione, Seconda Sezione Civile, sentenza 18056 del 3 Luglio 2025).

Studio legale Avvocato Francesco Noto – Cosenza Napoli Roma