Infarto dopo incidente stradale

Qualora una persona sia coinvolta in un sinistro stradale, pure di lieve entità, e subito dopo soffra un infarto, ha titolo ad ottenere il risarcimento del danno per i danni fisici sofferti?

Si tratta di un caso non infrequente, che analizza dal punto giuridico la fattispecie del c.d. evento eccezionale, ovvero la conseguenza spesso improbabile di un evento dannoso, rispetto al quale il rapporto tra l’incidente d’auto e l’infarto è mediato da plurime concause, deputate persino a rendere nel coacervo improbabile un nesso causale tra la patologia fisica e la collisione dei veicoli.

Ed è proprio questa la premessa su cui è stata chiamata a statuire la Corte di Cassazione, a seguito di un ricorso promosso dall’infortunato, il quale ha sofferto un infarto del miocardio a seguito di una collisione di lieve entità tra veicoli.

La vicenda contenziosa sorge allorquando l’infortunato ha convenuto in giudizio la compagnia assicurativa, per sentire dichiarare la responsabilità dell’assicuratore per tutti i danni sofferti in conseguenza del sinistro, ivi compreso l’infarto.

Il Tribunale adito accoglieva solo parzialmente la richiesta risarcitoria, pretermettendo il risarcimento del danno alla salute derivante dalla patologia suddetta, ritenuta la insussistenza di un nesso causale con il sinistro.

La sentenza veniva appellata dinanzi alla Corte territoriale, ma anche il giudice del gravame rigettava la richiesta risarcitoria, sostenendo essere l’urto tra i veicoli di lieve entità, a fronte di una condizione fisica dell’infortunato caratterizzata da numerosi fattori di rischio coronarico. In  specie, da apposito approfondimento istruttorio, demandato a CTU medico-legale, l’infarto veniva ascritto ad una placca preesistente in un contesto protombotico, per cui lo stress generato dal sinistro poteva aver avuto solo un ruolo concausale [“… non può ritenersi che l’infarto del miocardio che colpì il A.A. sia causalmente riconducibile al sinistro di cui è causa. Infatti, dalla dinamica del sinistro pacifica tra le parti, il A.A. in data 9.2.2013 venne tamponato dall’autovettura condotta da B.B. e l’urto fu di lieve entità tanto che le due autovetture non riportarono alcun danno materiale…. Tale infarto, come accertato dal CTU nominato in questo grado di giudizio, fu causato dalla complicazione di una placca in un ambiente protrombinico capace di ridurre consistentemente il flusso coronarico. Infatti, il A.A. presentava notevoli fattori di rischio coronarico quali sesso maschile, età, fumo di sigarette, sovrappeso, diabete mellito, ipertensione arteriosa che lo rendevano un soggetto ad altro rischio di infarto miocardico acuto. Ora, in genere la causa più frequente di infarto è rappresentata da una o più placche coronariche “complicate” e come è emerso dalla coronarografia eseguita in UTIC il A.A. era portatore di placche ateromatose che erano preesistenti al sinistro. Come spiegato dal CTU la placca vulnerabile (che è quella che presenta un ampio nucleo lipidico necrotico con un rivestimento capsulare sottile nell’ interfaccia con il lume del vaso coronarico) non conduce necessariamente all’ infarto, poiché nel 75% dei casi le placche vulnerabili vanno incontro alla stabilizzazione tramite una conformazione con un rivestimento capsulare meno ricco di lipidi. Pertanto, affinché la placca di complichi, sono necessari dei fattori esterni che interagiscono tra di loro, anche se nel 50% dei casi non è stato evidenziato alcun evento esterno mentre lo stress era presente soltanto nel 18% dei casi. Se la placca si complica l’esito può essere variabile in relazione alla presenza di fattori individuali protrombotici, in quanto la rottura della placca con la formazione di un trombo avviene quando vi è una combinazione di fattori esterni con fattori interni emodinamici, protrombotici e forze emodinamiche durante un periodo di vulnerabilità

della placca. Nel caso di specie, lo stimolo emotivo correlato al sinistro può avere contribuito alla complicazione della placca, in aggiunta all’azione infiammatoria scatenata dalla iperglicemia indotta dalla terapia steroidea in un preesistente ambiente protrombotico connesso al diabete, obesità e ipertensione].

Sulla base di ciò, il giudice dell’Appello riteneva che l’infarto subìto, pur se stimolato dallo stress cagionato dall’incidente, costituisse un evento eccezionale, eziologicamente ultroneo, secondo il principio di regolarità causale, a sinistri di lieve entità, come quello oggetto di lite. Da qui il rigetto della domanda, una volta ritenuto non sussistere alcun nesso causale tra la patologia ed il sinistro stradale.

Avverso la sentenza di secondo grado l’infortunato proponeva ricorso per cassazione, lamentando la mera apparenza insita nella motivazione resa dalla corte territoriale, proprio riguardo alla interruzione del nesso causale, impropriamente correlata alla eccezionalità dell’infarto.

Il giudice nomofilattico, analizzata la vicenda, ha ribaltato il convincimento dei due gradi di merito, ritenendo fondato l’appello interposto dall’infortunato.

Nello specifico, la Corte rilevava come il giudice dell’Appello avesse fondato, erroneamente, la propria decisione su un generico id quod plerumque accidit, ovvero la tesi secondo cui dai sinistri di lieve entità non possano derivare danni fisici gravi, prescindendo dalle risultanze della CTU, e senza tener conto che, ai fini risarcitori, la condotta lesiva possa essere anche solo una concausa dell’evento. Secondo i Giudici di legittimità, la Corte territoriale ha erroneamente relegato l’infarto ad un evento eccezionale, un’ipotesi talmente improbabile da potersi ragionevolmente escludere, senza però fornire una congrua motivazione; nel caso di specie, risulta applicabile il principio, ormai consolidato nella giurisprudenza, “thin skull rule” secondo cui il danneggiante è responsabile per tutte le conseguenze del proprio comportamento, anche se aggravate da condizioni preesistenti del danneggiato, non potendo operarsi una riduzione proporzionale in ragione della particolare condizione del soggetto danneggiato.

Terminava, quindi, sostenendo come mancasse del tutto l’accertamento del nesso causale secondo la ormai vigente regola del “piu probabile che non”, che impone ascrivere al danneggiante le conseguenze del sinistro, nella misura in cui  la condotta del soggetto attivo ha avuto una efficacia causale nella produzione dell’evento (Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, Ordinanza 26 Giugno 2025, N. 17179)

Studio Legale Avvocato Francesco Noto – Roma Napoli Cosenza

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