E’ possibile stipulare nel nostro ordinamento contratti volti a regolamentare i rapporti economici in caso di futura separazione o divorzio, oppure simili accordi sono sempre da ritenere nulli?
Sul punto, assai di recente è intervenuta la Corte di Cassazione, che ha fatto proprio un importante distinguo, volto ad accordare diritto di cittadinanza a specifiche tipologie di accordi tra i coniugi, sottratte a possibili censure di nullità su domanda di uno dei due contraenti.
La separazione o la successiva cessazione di effetti civili del matrimonio, salvo rare eccezioni, è accompagnata da marcati dissapori tra i coniugi, ma ancora più spesso da profondi rancori, generatori di controversie che, sovente per mera ripicca, obliterano ogni pacato accordo negoziale raggiunto in costanza di coniugio.
Da qui l’importanza di capire la posteriore validità di un contratto prematrimoniale che, nel regolamentare un determinato profilo economico, dovrà poi valicare indenne i momenti tempestosi tipici della separazione o al divorzio, allorquando i coniugi si convertono in acerrimi nemici.
La importante presa di posizione dell’Organo di Legittimità si accompagna ad un contenzioso in origine promosso dinanzi al Tribunale di Brescia, che ha visto l’ex marito convenire in giudizio la ex consorte, per ivi sentire accertare la contrarietà all’ordine pubblico ed alle norme imperative di legge, e dunque la insanabile nullità ex art. 1343 cc, di una scrittura privata intercorsa tra i coniugi. Il marito, nel sottoscrivere da sposato l’accordo -e dopo avere il coniuge riconosciuto che la moglie: a) aveva contribuito con il proprio stipendio al benessere della famiglia e al pagamento di un mutuo per la ristrutturazione dell’appartamento; b) la somma depositata sul conto corrente proveniva dall’eredità beneficiata dalla moglie-, dichiarava divenire debitore della moglie in caso di separazione, nel mentre quest’ultima avrebbe rinunciato al possesso di determinati beni mobili.
Il giudice di primo grado disattendeva la chiesta declaratoria di nullità dell’accordo, avanzata dal marito, ed al contempo accoglieva in via riconvenzionale la domanda della moglie, volta in termini del tutto simmetrici a sentire dichiarare la piena validità della scrittura privata, e pertanto la giuridica insorgenza di un obbligo a corrispondere la somma promessa in favore della coniuge.
Seguiva un immediato appello da parte dell’ex marito, teso a riproporre le argomentazioni di primo grado, ma ancora una volta la Corte territoriale confermava il convincimento del Tribunale.
I giudici dell’appello, nel richiamare una giurisprudenza di legittimità consolidatasi nel tempo, evidenziavano la piena liceità degli accordi tra i coniugi tesi a regolamentare i loro rapporti patrimoniali in caso di fallimento del matrimonio, poiché espressione della loro autonomia negoziale diretta a realizzare interessi meritevoli di tutela ex art. 1322 cc, considerato oltremodo essere lo stesso fallimento una mera condizione sospensiva del contratto.
La liceità dell’accordo, a detta dei giudici, si sostanziava in una legittima perequazione delle risorse economiche che i coniugi avevano voluto reciprocamente riconoscere ed assicurarsi, e non intaccava il diritto/dovere di assistenza morale e materiale, conseguente alla cessazione del matrimonio.
Il marito decideva in ultima istanza ricorrere dinanzi alla Corte di Cassazione, seguitando a dolersi della nullità del contratto per contrarietà a norme imperative.
Il giudice nomofilattico, dopo attento scrutinio della vicenda contenziosa, ritiene infondate le censure a corredo del ricorso.
La Corte di Cassazione, a tal fine, richiama dapprima l’orientamento giurisprudenziale consolidatosi nel tempo e volto a valorizzare l’autonomia negoziale privata, anche tra i coniugi; al riguardo, se da un lato si ritengono ad oggi nulli i contratti, per illiceità della causa ex art. 1343 cc, volti a fissare -puramente e semplicemente- in sede di separazione il regime patrimoniale di un eventuale e futuro divorzio, sotto altro ambito prospettico sono da ritenere legittimi gli accordi aventi la funzione di porre fine ad alcune controversie di natura patrimoniale insorte tra i coniugi, senza alcun riferimento primario al futuro assetto economico in caso di divorzio.
Tali accordi, evidenzia al contempo la Corte di Cassazione, risultano essere del tutto leciti, in quanto sono da annoverarsi quali pattuizioni atipiche assoggettate a condizione sospensiva lecita ed espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi, diretta a realizzare interessi meritevoli di tutela.
Ovviamente, i coniugi possono concordare gli aspetti patrimoniali più variegati, con unico limite del rispetto dei diritti indisponibili, poiché in tal caso l’accordo sarebbe sempre soggetto ad un controllo di legittimità. Pattuizione che può meglio rispecchiare le singole capacità economiche di ciascun coniuge, o modulare forme di generosità spontanea tra i coniugi, proprio come nella vicenda concreta, dove la scrittura risultava prevedere un riconoscimento di debito in favore dell’altro coniuge e, quindi, volta a regolamentare in modo libero ed equilibrato l’assetto patrimoniale dei coniugi in caso di scioglimento della comunione legale.
In sintesi, nel mentre un contratto preposto esclusivamente a pattuire il futuro regime economico tra i coniugi, in caso di separazione o divorzio, è da intendersi affetto da nullità ex art. 1343 cc, la scrittura con cui, nell’ambito di un ponderato vaglio delle condizioni patrimoniali dei coniugi, soppesi l’apporto economico e morale alla famiglia da parte di ciascuno dei contraenti, è da intendersi perfettamente lecita, perché in detta evenienza regolamenta in maniera libera e ragionata l’assetto patrimoniale in caso di successivo scioglimento della comunione legale, pur se correlata alla separazione o al divorzio. Tale contratto è da intendersi assoggettato a condizione sospensiva o risolutiva -secondo la metodica di stesura- e non ricorre la fattispecie di cui all’art. 1354 cc (invalidità contratto per apposizione elemento modali illecito), se si considera come, nessuna norma imperativa preclude ai coniugi, prima o durante il matrimonio, riconoscere l’esistenza di un debito verso l’altro, e di subordinarne la restituzione ad un evento futuro o incerto, tale da ritenere altresì la separazione o il divorzio (Cassazione Civile, Prima Sezione Civile, Ordinanza 21 Luglio 2025, Numero 20415).

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