Inammissibile il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di inammissibilità ex art. 140 Codice del Consumo

Dopo avere sancito la inammissibilità della cd. class action, ove tesa a contestare l’illegittimità delle clausole bancarie che ripristinano le anteriori  commissioni di massimo scoperto, l’Alto Consesso di Legittimità precisa gli esatti termini della pronuncia di reiezione: l’ordinanza di inammissibilità adottata ex art. 140 bis D. Lgs. 206 del 2005, non avendo piena portata decisoria, non implica alcuna decisione definitiva, né sulla pretesa risarcitoria, né sulla trasposizione della medesima in altro giudizio. A tenore dell’art. 140 bis, comma 14, Codice del Consumo, è unicamente l’ordinanza di ammissibilità che preclude, di contro, la riproposizione della domanda sommaria sul medesimo antefatto, spirato il termine codicistico per l’adesione. Cassazione Civile, Sezione Iª Sentenza  14 Giugno 2012 – n° 9772.


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –
Dott. RORDORF Renato – Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –
Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
(OMISSIS….)
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
1.- Con l’ordinanza impugnata (depositata il 27.10.2010) la Corte di appello di Torino ha rigettato il reclamo proposto dal Codacons, in qualità di procuratore speciale dell’avv. R.C., contro l’ordinanza in data 4 giugno
2010 con la quale il Tribunale di Torino aveva dichiarato inammissibile l’azione di classe ex D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 140 bis, (c.d. “Codice del Consumo”) proposta dalla reclamante nei confronti della s.p.a. I. S. P.. In
particolare l’azione era stata proposta dal Codacons, nella predetta qualità, sulla premessa che:
– l’avv. R. intratteneva con la banca convenuta il rapporto di conto corrente n. (OMISSIS) (da lui acceso nel 1994 con l’allora C. spa, poi fusasi per incorporazione in I. S. P. spa), con apertura di credito fino alla
concorrenza di Euro 15.000,00;

– a seguito dell’introduzione, in forza del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 2 bis, convertito in L. 28 gennaio 2009, n. 2, del divieto di applicazione della commissione di massimo scoperto nell’ambito del
rapporto di conto corrente bancario, la banca convenuta aveva applicato alla clientela nuove commissioni  “sostitutive” da ritenersi a loro volta, sotto vari profili, illegittime;
– in particolare, dalla “proposta unilaterale di modifica unilaterale di contratto di conto corrente” emessa dalla banca l’11 maggio 2009, era risultata l’introduzione dei seguenti nuovi istituti contrattuali: (i) con
riguardo ai conti non affidati, “commissione di scoperto di conto” (CSC) così disciplinata: “Euro 2 al giorno per ogni Euro 1000 di saldo debitore o frazione, fino ad un massimo di Euro 100 per trimestre solare; la
commissione si applica solo per i giorni in cui nel trimestre si è registrato contemporaneamente sia un saldo debitore contabile sia per valuta, e si calcola sul minore tra i due. Non si applica sui conti su cui è stato 2
concesso un fido e non si applica per i giorni in cui il saldo debitore sia stato pari o inferiore ad Euro 100”; (ii) con riguardo ai conti affidati, “tasso debitore annuo nominale sulle somme utilizzate” (TUOF), applicato
(al momento della domanda, in ragione del 12,5%) “sull’intero importo del credito utilizzato dal cliente, e non soltanto sull’importo utilizzato oltre l’ammontare dell’apertura di credito. E’ applicato solo per il
numero di giorni in cui lo scoperto si è verificato”; (iii) con riguardo ai conti affidati, “commissione per la messa a disposizione dei fondi” (CDF), applicata “al termine di ogni trimestre solare alla media dell’importo complessivo dei fidi in essere durante il trimestre stesso”;
– tali commissioni erano illegittime sia perchè surrettiziamente ripristinatorie delle “vecchie” commissioni di massimo scoperto, vietate dalla L. n. 2 del 2009, art. 2 bis, su citata; sia perchè fatte oggetto da parte della
banca di una pratica commerciale scorretta e, più in generale, di un comportamento anticoncorrenziale derivante dalla loro contemporanea adozione da parte di tutti i più importanti istituti di credito;
– dall’adozione delle nuove commissioni e remunerazioni contrattuali era derivato all’avv. R. un danno patrimoniale quantificabile in Euro 250,00 ovvero in altro importo da stabilirsi dal giudice anche in via
equitativa o mediante consulenza tecnica d’ufficio; oltre ad un danno patrimoniale e/o esistenziale e/o biologico e/o morale, stimabile nell’ordine di Euro 1000,00 o in altra somma di giustizia, derivante dalla limitazione della sua libertà negoziale e dall’imposizione nei suoi confronti di clausole nulle perchè in contrasto con norme imperative di legge;
– l’azione introdotta dall’avv. R. (recante domande di accertamento della nullità, illiceità o comunque di illegittimità delle commissioni e remunerazioni in parola; ma anche di condanna della banca all’espunzione
dal contratto di conto corrente delle relative clausole, e di risarcimento dei danni testè evidenziati) concerneva un tipo di contratto stipulato con la banca, ex artt. 1341 e 1342 c.c., da innumerevoli altri correntisti; sicchè essa rivestiva tutti i caratteri della ed, “azione di classè, trattandosi nella specie di tutelare un suo diritto individuale del tutto omogeneo a quello degli altri consumatori ed utenti che si trovavano in una situazione identica alla sua; aspetto, quest’ultimo, che lo legittimava ad agire ex art. 140 bis codice del consumo cit..

2.- La Corte di merito – in estrema sintesi – ha evidenziato che l’azione esperita (ex art. 140 bis cod. cons.) ha natura risarcitoria. Talchè non poteva l’avv. R. introdurre l’azione di classe semplicemente per
contestare la sussistenza del diritto della banca di inserire e far valere, nel rapporto di conto corrente, le clausole istitutive delle “nuove” commissioni, di cui si chiedeva l’accertamento di illegittimità o illiceità.
Secondo la corte territoriale l’azione di classe può essere proposta al fine di ottenere un risarcimento ovvero una restituzione; pertanto può essere introdotta in esito al verificarsi di un pregiudizio effettivo –
patrimoniale o, al limite, anche non patrimoniale – suscettibile di riparazione mediante pronuncia di condanna al pagamento di una somma, liquida o liquidabile, di denaro. Peraltro, nel caso di prestazione
posta in essere in forza di un contratto nullo, il regime di tutela non sarebbe di tipo tanto risarcitorio, quanto restitutorio dell’indebito oggettivo, come precisato dalla giurisprudenza (Cass. 8564/09; Cass.

16612/08 ed altre in termini). Nella concreta fattispecie l’insussistenza di un danno risarcibile – derivante dalla mancata applicazione delle clausole contrattuali contestate – risultava non soltanto dalla semplice disamina di produzioni documentali, ma anche, e in maniera decisiva, dalla ammissione in fatto dello stesso proponente; il quale aveva dichiaratamente introdotto (con sostanziale finalità di mero accertamento) un’azione risarcitoria proprio con riguardo ad una situazione di applicazione soltanto eventuale e futura delle nuove commissioni di conto corrente. Talchè ricorreva – in maniera quasi emblematica l’ipotesi di manifesta infondatezza, diversamente da quanto ritenuto dal tribunale, il quale aveva ritenuto insussistente l’interesse ad agire. La diversa soluzione, peraltro, non assumeva rilevanza pratica, dal momento che entrambe le situazioni
(carenza di interesse ad agire; manifesta infondatezza) determinano la dichiarazione di inammissibilità dell’azione di classe. Infine, l’affermazione di manifesta infondatezza della domanda determinava l’assorbimento della questione relativa alla sussistenza in capo all’avvocato R. della qualità di “consumatore” o “utente” ex art. 3 cod.cons.; qualità positivamente riscontrata dal Tribunale in forza di un ragionamento che la banca convenuta
(totalmente vittoriosa avanti al primo giudice) aveva censurato soltanto in via condizionata all’accoglimento del reclamo principale. Quanto alle ulteriori domande di nullità delle clausole proposte dall’avvocato R. sotto il profilo dell’illegittimo ricorso da parte della banca alla procedura di modificazione unilaterale di cui all’art. 118 Tub (procedura sì da lui menzionata fin dall’atto di citazione, ma non quale causa di invalidità), nonchè della
surrettizia introduzione (per quanto concerne il Tuof) di una vera e propria clausola penale vessatoria, la corte di merito ne ha evidenziato la novità.
Invero, a fronte della deduzione della nullità delle clausole contrattuali di commissione per violazione della norma imperativa di cui alla L. n. 2 del 2009, art. 2 bis, di conversione del D.L. n. 185 del 2008, il reclamante
lamentava la mancata pronuncia di nullità, d’ufficio, delle medesime clausole perchè adottate in assenza dei presupposti di cui alla procedura ex art. 118 Tub e perchè contenenti una “penale” vessatoria. Rilievo
ufficioso inammissibile per il divieto di ultrapetizione (Cass. 28 novembre 2008 n. 28424). Peraltro, neppure l’auspicata (ma inammissibile) pronuncia ufficiosa di nullità delle clausole in questione
(invece pertinente con un’azione di mero accertamento della invalidità del contratto) avrebbe potuto sortire nella specie, per le già indicate ragioni, il risultato risarcitorio esclusivamente perseguibile con
l’azione di classe.

3.- Contro l’ordinanza della corte di merito il CODACONS – nella predetta qualità – ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Resiste con controricorso la s.p.a. Banca I. la quale ha, altresì, 4
proposto ricorso incidentale condizionato – affidato a tre motivi – e non condizionato per un solo motivo, in relazione alla compensazione delle spese di lite. In via preliminare, peraltro, ha eccepito l’inammissibilità
del ricorso. Nei termini di cui all’art. 378 c.p.c., le parti hanno depositato memorie.

4. – Con i motivi del ricorso principale parte ricorrente denuncia:
1) violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 140 bis, art. 183 c.p.c., comma 6; art. 24  Cost., comma 2, e art. 111 Cost., comma 2, “nella parte in cui la Corte di appello di Torino ha ritenuto non
consentita alcuna modifica, precisazione della domanda attorea introdotta con atto di citazione;

2) “erronea, contraddittoria, insufficiente motivazione dell’ordinanza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non ammissibili le domande- precisazioni attoree in memoria 20.4.2010”; 3) violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 140 bis “nella parte in cui l’ordinanza impugnata ha negato lfesperibilità dell’azione di mero accertamento”; 4) “erronea contraddittoria illogica motivazione del provvedimento nella parte in cui
nega la rilevanza del danno non patrimoniale derivante dal diritto costituzionale alla tutela del risparmio e/o ritiene non provato quello patrimoniale derivante dalla comunicazione ai correntisti pur a fronte della
mancata contestazione della banca convenuta”.
5.- Con i motivi del ricorso incidentale condizionato la banca resistente denuncia: 1) violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., e art. 2907 c.c., in relazione alla ritenuta ammissibilità di rilievo d’ufficio della nullità in caso di
azione di mero accertamento; 2) violazione degli artt. 112, 167 e 183 c.p.c., e D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 140 bis, in relazione alla ritenuta ammissibilità della nuova doglianza concernente il TUOF; 3) violazione
degli artt. 112, 167 e 183 c.p.c., e D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 140 bis, in relazione alla ritenuta ammissibilità della nuova doglianza concernente la CDF. Con il motivo di ricorso incidentale non condizionato la banca
resistente denuncia violazione dell’art. 92 c.p.c., e del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 140 bis, comma 8, oltre che dell’art. 112 c.p.c., in relazione alla compensazione integrale delle spese di lite per entrambi i gradi del
giudizio.

6.- I ricorsi, proposti contro lo stesso provvedimento, devono essere riuniti.
Occorre preliminarmente esaminare l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale sollevata dalla banca resistente. La proponibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., infatti, è condizionata alla sussistenza dei necessari requisiti della decisorietà, intesa come idoneità a risolvere una controversia intorno a diritti soggettivi o status, e della definitività, ossia della stabile incidenza di quei provvedimenti sui predetti diritti soggettivi e della insuscettività dei medesimi di essere revocati, modificati o assoggettabili ad altri rimedi giurisdizionali (v., per tutte, Cass. 18 settembre 1993, n. 9595; Cass. 11 febbraio 1995, n. 1541; Cass. 21
giugno 2002, n. 9064 e Cass. 16 luglio 2004, n. 13288). Parte ricorrente, per vero, ha fatto precedere all’illustrazione dei motivi una premessa sulla ricorribilità per cassazione dell’ordinanza della corte di appello che neghi, ai sensi dell’art. 140 bis cod. cons., l’ammissibilità dell’azione e ha fatto richiamo alla giurisprudenza formatasi sull’art. 274 c.c., prima dell’intervento della Corte costituzionale. Sennonchè la norma ora richiamata, prima della declaratoria di incostituzionalità, disciplinava una fattispecie affatto diversa rispetto a quella disciplinata dall’art. 140 bis cit.. La giurisprudenza della S.C., invero, riteneva che il provvedimento camerale in tema di ammissibilità dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità, reso dalla Corte d’appello in sede di reclamo, avesse carattere decisorio e definitivo e pertanto, ove non impugnato con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., acquistasse “autorità di giudicato, precludendo la riproposizione della domanda, salvo che sulla base di circostanze ed elementi nuovi, per tali dovendosi intendere sia quelli oggettivamente nuovi, in
quanto sopravvenuti al precedente provvedimento definitivo, sia quelli nuovi soggettivamente, perchè preesistenti ma non sottoposti all’esame del primo giudice” (Sez. 1, Sentenza n. 1826 del 28/01/2005;
diversamente, però, v., in motivazione, Corte cost., sent. n. 50 del 2006: “il meccanismo processuale di cui alla norma impugnata – in palese contraddizione con la sua funzione preventiva – si presta,… ad incentivare,
per la sua stessa struttura, strumentalizzazioni, oltre che da parte del convenuto, anche da parte dello stesso attore che, attraverso una accurata programmazione della produzione probatoria, è in grado di
assicurarsi – non essendo il provvedimento di inammissibilità suscettibile di passare in giudicato una reiterabilità, a tempo indeterminato, della istanza di riconoscimento, con la conseguenza che, proprio a
fronte di iniziative effettivamente vessatorie, il convenuto potrebbe non esserne mai definitivamente al riparo”). Per converso, l’ordinanza di inammissibilità ex art. 140 bis cod. cons. non impedisce la proposizione
dell’azione risarcitoria in sede ordinaria. Ciò che è inibita non è la tutela giurisdizionale di un diritto sebbene la tutela giurisdizionale in una determinata forma di un diritto tutelabile nelle forme ordinarie.
Si tratta di provvedimento analogo a quello di rigetto della “domanda d’ingiunzione”, cioè un provvedimento che “non pregiudica la riproposizione della domanda anche in via ordinaria” e, che, quindi,
non è ricorribile per cassazione neppure ai sensi dell’art. 111 Cost., in quanto insuscettibile di passare in cosa giudicata (Cass., Sez. un., 19 aprile 2010 n. 9216; Cass., 3^, 29 settembre 2005 n. 19130).
Si è pure rilevato, in dottrina, che il provvedimento può avere contenuto decisorio, come nell’ipotesi di inammissibilità per manifesta infondatezza e, tuttavia, anche in tali casi, non è definitivo perchè anche
nell’ipotesi di declaratoria di manifesta infondatezza della domanda, lo stesso soggetto, pur in assenza di elementi sopravvenuti, può proporre una nuova istanza, sia deducendo nuove prove, sia allegando nuovi
fatti quantunque già esistenti, sia, più semplicemente, meglio strutturando la domanda, anche solo in punto di diritto.
Invero, come è stato evidenziato in dottrina, l’ordinanza che dichiara o conferma l’inammissibilità dell’azione di classe, essendo fondata su una delibazione sommaria, non può assumere la stabilità del
giudicato sostanziale e non produce l’efficacia preclusiva del dedotto e del deducibile. Nell’ipotesi di pronuncia di inammissibilità per manifesta infondatezza dei diritti omogenei fatti valere la
valutazione del tribunale è operata, oltre che in sede di cognizione sommaria, ai soli fini del giudizio di ammissibilità della domanda di classe, dunque con delibazione finalizzata a una pronuncia di rito, idonea a
condizionare soltanto la prosecuzione di quel processo di classe. Significativa, in proposito, è la norma di cui all’art. 140 bis, comma 14, secondo la quale “non sono proponibili ulteriori azioni di classe per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa dopo la scadenza del termine per l’adesione assegnato dal giudice ai sensi del comma 9”.
E’ l’ordinanza di ammissibilità, dunque, che preclude la proposizione della medesima azione di classe per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa dopo la scadenza del termine per l’adesione e, a
contrario, l’ordinanza di inammissibilità non ne preclude la riproponibilità. Come ha evidenziato la dottrina, qui si coglie la differenza con la disciplina dettata dalla L. n. 117 del 1988, art. 5, che prevede espressamente che il provvedimento di inammissibilità sia ricorribile in cassazione, posto che tale disposizione vale proprio ad escludere la libera riproponibilità della domanda dichiarata inammissibile. Pertanto, l’ordinanza di inammissibilità ex art. 140 bis cod. cons. non implica alcuna decisione definitiva nè sull’esistenza del diritto risarcitorio rivendicato dal suo titolare nè sulla possibilità di farlo altrimenti valere in giudizio, talchè va esclusa l’ammissibilità del ricorso per cassazione, salvo per quel che attiene al capo riguardante la pronuncia sulle spese e sulla pubblicità.

7.- La richiesta formulata in udienza dal P.G. di enunciazione dei principi di diritto cui il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi non è apprezzabile come richiesta ex art. 363 c.p.c., comma 2, nè è meritevole di
accoglimento, se intesa come sollecitazione all’esercizio del potere officioso ex art. 363 c.p.c., comma 3. Infatti, l’art. 140 bis cod. cons. (D.Lgs. n. 206 del 2005) – già modificato ancor prima dell’entrata in vigore – è
stato di recente ulteriormente modificato dal D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 (spiega la Relazione: “In luogo del requisito dell’identità del diritto viene previsto quello della omogeneità”) e, successivamente, dalla L. 24
marzo 2012, n. 27, in sede di conversione del decreto-legge, con l’inserimento, tra l’altro, nel comma 2 della disposizione, della premessa in virtù della quale “L’azione di classe ha per oggetto l’accertamento
della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni in favore degli utenti consumatori” e, nel comma 1, della precisazione che l’azione è esperibile anche per la tutela degli “interessi
collettivi”. Quanto alle commissioni bancarie oggetto dell’azione proposta nel presente procedimento, poi, è appena il caso di rilevare che il D.L. n. 185 del 2008, art. 2 bis, già modificato dal D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 2,
comma 2, è stato successivamente modificato dal D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 27, comma 4 (“Il D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 2 bis, commi 1 e 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2,
sono abrogati”; in particolare, il comma 3 del cit. art. 2 bis, recitava: “I contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono adeguati alle disposizioni del presente
articolo entro centocinquanta giorni dalla medesima data. Tale obbligo di adeguamento costituisce giustificato motivo agli effetti dell’art. 118, comma 1, del testo unico delle leggi in materia bancaria e 7
creditizia, di cui al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni”). Infine, il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 27 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27 (“Sono nulle tutte le
clausole comunque denominate che prevedano commissioni a favore delle banche a fronte della concessione di linee di credito, della loro messa a disposizione, del loro mantenimento in essere, del loro
utilizzo anche nel caso di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido”), è stato modificato con D.L. 24 marzo 2012, n. 29, non ancora convertito in legge al momento della deliberazione
della presente sentenza (è previsto l’esame in commissione della Camera il 18 aprile 2012). Appare evidente la completa inutilità dell’attività di nomofilachia ex art. 363 c.p.c., su enunciati normativi già
definitivamente modificati ovvero in corso di modificazione.

8.- I motivi del ricorso incidentale condizionato restano assorbiti dalla dichiarazione di inammissibilità del ricorso principale mentre l’elencazione sub 7 delle modifiche legislative che hanno interessato sia l’art. 140
bis cod. cons. che la normativa sostanziale dedotta in giudizio è sufficiente a dar conto dell’infondatezza del motivo di ricorso incidentale non condizionato relativo alla compensazione delle spese processuali che, per
le stesse ragioni e per la reciproca soccombenza, possono essere compensate anche in relazione al giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato e compensa le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 17 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2012

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Studio Legale Avvocato Francesco Noto – Cosenza

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