Risarcimento danno appaltatore

Quali gli strumenti in favore del committente danneggiato da un appaltatore e come si raccordano le possibili strategia di difesa?

L’interrogativo sempre di grande interesse trova articolata risposta in una recente ordinanza assunta dalla Corte di Cassazione, che ha riformato il convincimento del giudice di merito, propenso a ritenere che i rimedi processuali rimessi al committente impongano sin dall’origine una precisa strategia, senza possibilità di successivi ripensamenti.

La questione, più in dettaglio, riguardava la possibilità per il committente, il quale ha agito per la risoluzione del rapporto del contratto di appalto per inadempimento -strumento processuale che presuppone una significativa insolvenza dell’appaltatore nella esecuzione del contratto- di optare nel corso della causa per domanda per la più tenue domanda estimatoria o di riduzione del prezzo -fattispecie ultima non correlata ad un marcato inadempimento. Tale mutamento di strategia, legato ai più svariati fattori -non da ultimo la possibilità che la domanda venga reietta, una volta accertato la più ridotta incidenza dell’inadempimento nelle dinamiche contrattuali- ha conosciuto una lettura più circoscritta nei gradi di merito, ritenuta erronea e cassata dal Giudice di Legittimità.

In dettaglio, la vicenda contenziosa prende piede da un provvedimento monitorio assunto dal Tribunale di Bergamo su istanza dell’appaltatore, il quale lamentava il mancato versamento del compenso maturato per taluni lavori effettuati. La parte ingiunta, nel proporre rituale impugnativa ex art. 645 cpc domandava la riduzione del prezzo convenuto, avversata dal creditore sul presupposto della intervenuta decadenza e prescrizione ex art. 1495 cc (disciplina codicistica come notorio afferente il contratto di compravendita).

Nelle more del giudizio il committente, tramite un nuovo difensore, instava per la risoluzione del contratto, dovuto al grave inadempimento dell’appaltatore, e ciò all’esito di una consulenza tecnica preventiva.

Il primo giudice revocava il decreto ingiuntivo, accogliendo la domanda estimatoria, dopo avere disatteso tutte le eccezioni promosse dalle parti, e ritenuta inammissibile la domanda di risoluzione.

La Corte d’Appello di Brescia, adita da entrambe le parti, respingeva l’appello principale e quello incidentale, e sullo specifico tema del raccordo tra domanda redibitoria e domanda estimatoria (risoluzione – riduzione del prezzo pattuito) escludeva la possibilità di ammettersi la posteriore domanda di risoluzione, in quanto quest’ultima avrebbe dovuta essere proposta sin dal principio, anche solo in termini subordinati.

Le simmetriche impugnative della fase di appello si trasferivano nella sede di legittimità, ed una volta dichiarata inammissibile la censura inerente la qualificazione del rapporto intercorso tra le parti (ritenuta tardivamente da accostare alla compravendita), la Corte si cimenta sulla complessa tematica del mutamento di strategia ad opera del committente, nel caso comprenda sussistere la possibilità di ottenere un più lauto introito, concentrandosi nel corso del giudizio sulla più remunerativa domanda di risoluzione.

Nel riformare il convincimento del giudice di appello, la corte premette innanzitutto la disciplina concernente il mutamento della domanda giudiziale nel corso del processo, secondo il principio informatore dettato con la sentenza a Sezioni Unite N. 12310/2015, che ammette il mutamento del petitum o della causa petendi, purché la domanda modificata resti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, di modo da preservare l’esigenza di non allungare i tempi del processo o il diritto di difesa della controparte.

Una volta fissata la cornice processuale, la Corte di Cassazione ritiene erroneo l’approccio dei giudici di merito, rammentando a tal fine come, l’art. 1453 c.c. dispone, al secondo comma, che “la risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento; ma non può chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione”. Tale principio, al di fuori della più rigida interpretazione dettata in tema di compravendita, non solo legittitma la modifica della domanda di adempimento in risoluzione contrattuale, nel corso del giudizio di primo grado, in appello e ancora in sede di rinvio, ma consente, per il contratto di appalto, anche la facoltà di sostituire alla domanda di risoluzione inizialmente proposta quella di riduzione del prezzo (così come la facoltà di proporre originariamente entrambe), il tutto con il solo obbligo di restare nel perimetro dei fatti posti a base della inadempienza originariamente dedotta, senza introdurre nuovi temi di indagine.

Il quadro delineato dalla Corte di legittimità si caratterizza per la legittima mutevolezza degli strumenti processuali in capo al committente e nei confronti dell’appaltatore; la parte committente, anche dopo le preclusioni proprie del processo civile di primo grado (art. 183 cpc, oggi art. 171 ter cpc), persino in grado di appello e in sede di rinvio ex art. 392 cpc, potrà convertire la domanda di riduzione del prezzo in domanda di risoluzione del contratto: entrambe le domande si devono impiantare sul presupposto obiettivo dell’inadempimento ascritto alla controparte negoziale in relazione alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio. La domanda risolutoria assumerà carattere principale, nel mentre la domanda di riduzione del prezzo potrà rimanere quale domanda subordinata, di modo da costituire l’alternativa da attingere ove difetti la gravità dell’inadempimento tale da giustificare la risoluzione, a tenore dell’art. 1668 c.c., derogatorio del canone di importanza dell’inadempimento ex art. 1455 cc.

Non sussistono ostacoli giuridici, e pertanto la richiesta di riduzione del prezzo può essere sostituita dalla parte interessata con la domanda di risoluzione del vincolo, seguita dagli eventuali effetti restitutori per entrambe le parti, purché il mutamento resti comunque proiettato nel perimetro fattuale dedotto nella domanda introduttiva di lite.

IN SINTESI, a fronte di una richiesta di pagamento dell’appaltatore, la strategia più opportuna per il committente, il quale abbia tempestivamente rilevato i vizi dell’opera, sarà quella di opporre il decreto ingiuntivo, instando per la risoluzione contrattuale come domanda principale, ed in via gradata per la riduzione del prezzo. Il tutto ovviamente confluente nella medesima enunciazione storica, e dunque adagiata sull’inadempimento dell’appaltatore. Una volta effettuato un approfondimento istruttorio, sussisteranno le condizioni per valutare se portare avanti la domanda di risoluzione, oppure se, in caso di inadempimento di minor rilievo, optare per la domanda secondaria e dunque chiedere la riduzione del prezzo (Corte di Cassazione, Seconda Sezione Civile, Ordinanza 25 Luglio 2024, N° 21374).

Studio Legale Avvocato Francesco Noto – Roma Napoli Cosenza

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