Quali effetti in caso di mancata impugnazione di una intimazione di pagamento trasmessa da Agenzia Entrate Riscossione?
La mancata impugnazione dell’avviso di intimazione preclude la possibilità di impugnare gli atti successivi?
Quali effetti determina sul decorso della prescrizione l’omesso esperimento dei rimedi contenziosi avverso l’intimazione di pagamento?
La Corte di Cassazione torna in piena estate su un tema altrettanto caldo della disciplina tributaria, la cui risposta, ove favorevole alle ragioni dell’Ufficio fiscale, circoscrive i margini di operatività del contribuente, provvedendo così a calmierare la mole di ricorsi in essere, se si considera essere l’atto in analisi l’anticamera del fermo amministrativo e della iscrizione ipotecaria, sempre più attenzionato dal destinatario.
L’interrogativo in analisi registra un round favorevole alla tesi di Agenzia delle Entrate Riscossione, volta a sostenere la posteriore infondatezza del ricorso promosso solo avverso le attività più prettamente cautelative del credito tributario (preavviso di fermo amministrativo ex art. 86 DPR N. 602/1973 – preavviso avviso iscrizione ipotecaria ex art. 77 DPR N. 602/1973).
Ma prima di enuclearne il percorso argomentativo, occorre riepilogare lo sviluppo della controversia sin dal suo avvio.
Il contrasto esegetico prende da un avviso di intimazione di pagamento, avente ad oggetto dieci cartelle di pagamento, oggetto di impugnazione dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di primo grado; il contribuente, secondo un consolidato format strategico, lamentava la inesistenza della notifica delle cartelle di pagamento ed il decorso dei termini di prescrizione -quinquennale o decennale-, nel caso in cui fosse stata dimostrata la notifica delle cartelle di pagamento.
In contrasto alla posizione del contribuente, si costituiva l’Agente della riscossione, per sostenere la rituale notifica delle cartelle di pagamento e degli ulteriori atti interruttivi della riscossione e, comunque, l’applicabilità del termine di prescrizione decorrente dalla data di notifica dell’ultimo atto interruttivo, non impugnato dal contribuente.
Il giudice di prime cure accoglieva sullo specifico punto -respinta per il resto l’impugnativa interposta- la tesi del contribuente, rilevando la sopravvenuta prescrizione circa le sanzioni ed interessi, a carattere quinquennale.
Avverso la sentenza di primo grado, l’agente della riscossione interpone appello, censurando la decisione assunta dal giudice del primo grado, per non avere rilevato il mancato decorso dei termini di prescrizione, da correlare all’ultimo atto interruttivo notificato e non impugnato, costituito da altro avviso di intimazione.
La CGT di secondo grado non sovvertiva il convincimento del primo giudice, e rigettava l’appello proposto dall’Agente della riscossione.
Dopo un epilogo negativo nel doppio grado di merito, l’Agente di riscossione proponeva ricorso di legittimità, affidato ad un unico motivo; a detta del ricorrente, i due avvisi di intimazione notificati non erano stati per tempo impugnati, e pertanto le pretese creditorie, nonché le sanzioni e gli interessi, sono da intendersi cristallizzate, con speculare effetto interruttivo della prescrizione, destinata a conoscere un nuovo termine di avvio.
La Corte di Cassazione, analizzati gli elementi della vicenda, ha ritenuto fondato il motivo dell’Agente, rilevando come l’elemento della fondatezza della posizione assunta da AER sia da rinvenire nella natura dell’avviso di intimazione.
Dopo avere ribadito il distinguo tra gli atti tipici indicati dall’art. 19 D. L.vo N. 546/1992, ed atti atipici, i Giudici di Legittimità ritengono potersi accostare l’intimazione di pagamento all’avviso di mora, e dunque rientrare nel novero della disciplina ex all’art. 19 d. lgs. N° 546/1992; l’intimazione di pagamento, una volta pervenuta al contribuente, deve essere necessariamente impugnata. Ciò in quanto, a differenza degli atti atipici, l’intimazione di pagamento, riprendendo un orientamento consolidato, costituisce un atto riconducibile all’avviso di mora, annoverato espressamente dall’art. 19, poiché si tratta di atti assimilati all’avviso ex art. 50, comma 2, dpr N° 602/1973. Articolo 50 DPR N. 602/1973 il quale prevede come, se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella d pagamento, la stessa deve essere preceduta da “un avviso che contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo”.
Sulla base di ciò, la Corte giungeva alla conclusione secondo cui si dovesse riconfermare l’orientamento precedente affermando il principio per cui l’intimazione di pagamento costituisce atto rientrante nel novero di quelli tassativamente elencati all’art. 19 d. lgs. 546/1992, in quanto da ricondurre all’avviso di mora. Tale approccio oblitera -da qui la possibilità di assistere a future pronunce di senso difforme- la lettura dispensata anche nel recentissimo periodo dalla Corte di Legittimità, a tenore del quale l’intimazione di pagamento costituisce atto solo facoltativamente impugnabile, ed in detti termini non interruttivo del decorso della prescrizione (da ultimo Cassazione Civile, Ordinanza N. 16743/2024).
In sintesi, laddove al contribuente pervenga una intimazione di pagamento, non accompagnato da relativa impugnativa giurisdizionale nei termini decadenziali, si determina la cristallizzazione della pretesa impositiva, tale da precludere al contribuente la possibilità di eccepire, a ricezione di futuri atti di recupero da parte di AER, la prescrizione compiutasi anteriormente allo spirare del termine (Corte di Cassazione, Sezione Quinta Tributaria, sentenza N° 20476 del 21 luglio 2025).

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