La Corte di Legittimità torna sui presupposti che giustificano l’assegno divorzile, e dunque sugli elementi che legittimano, nel giudizio di divorzio, la formulazione di una specifica richiesta, da parte del coniuge privo dei mezzi di sostentamento proprio, oppure che pretenda vedersi riconosciuto una compensazione economica, per avere contribuito alla stabilità della vita familiare, sacrificando le proprie aspirazioni professionali.
La decisione assunta dalla Corte di Legittimità, peraltro con rinvio al giudice di merito per una nuova valutazione sull’ammontare dell’assegno, si impianta su un più tribolato contenzioso, che ha visto contrapposti due ex coniugi, fermo l’uno nel chiedere -ed ottenere- il riconoscimento dell’assegno divorzile, l’altro nel denegarlo. Si è registrato sul punto un doppio grado di merito, e di seguito un primo giudizio di legittimità, conclusosi con l’annullamento della decisione ed un nuovo scrutinio, pure questa volta impugnato -dall’obbligato al pagamento, fermo nel sostenere l’insussistente apposto della percipiente, in quanto quest’ultima avrebbe dismesso ogni proposito reddituale prima ancora di avviare l’unione civile- dinanzi ai Giudici di Cassazione
Il giudizio di secondo grado, come anzidetto, perveniva da altro rinvio della Corte di Legittimità, conclusosi con la stesura del seguente principio informatore: “In caso di scioglimento dell’unione civile conclusa ai sensi dell’art. 1, comma 25, della L. n. 76 del 2016, la durata del rapporto – individuata dall’art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970 (richiamato dal citato comma 25) quale criterio di valutazione dei presupposti necessari per il riconoscimento del diritto all’assegno in favore della parte che non disponga di mezzi adeguati e non sia in grado di procurarseli – si estende anche al periodo di convivenza di fatto che abbia preceduto la formalizzazione dell’unione, ancorché lo stesso si sia svolto, in tutto o in parte, in epoca anteriore all’entrata in vigore della predetta L. n. 76 del 2016”.
In sostanza, il Giudice, nella valutazione dei presupposti necessari al riconoscimento dell’assegno, deve valutare pure il periodo di convivenza antecedente alla legge 76 2016, che ha come notorio regolato per la prima volte le unioni civili tra persone del medesimo sesso.
Il Giudice nomofilattico innanzitutto esordisce inquadrando la tematica della perdita di chance, addotta dal percipiente l’assegno e denegata dal coniuge obbligato al versamento. Aderendo alla impostazione professata da quest’ultimo, precisa innanzitutto la Corte di Legittimità consistere la mancata chance nella perdita della possibilità di un risultato vantaggioso, e non nella certezza dello stesso; pur costituendo una entità patrimoniale a sé stante (v. Cass. 11058/2025, Cass. 21045/2024; Cass. 1884/2022), la perdita di una chance lavorativa non permette assolo di avallare i presupposti per l’assegno correlato allo scioglimento dell’unione civile.
L’essenza della prestazione in analisi impone effettuare un previo distinguo tra assegno divorzile e di mantenimento. Quest’ultimo, sotteso alla giuridica perduranza del matrimonio, si fondo sul dovere di assistenza materiale e morale, ancora in essere, ed è correlato al tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio; pur preservandone in principio la conservazione, non può comprendere quanto il richiedente possa di procurarsi da solo (Cass. n. 234/2025).
L’assegno di divorzio, di contro, visto lo scioglimento del vincolo coniugale, si basa solo su un dovere di solidarietà, che primeggia la autoresponsabilità delle parti, tenute a procurarsi i mezzi che permettano a ciascuno di vivere in autonomia e con dignità.
L’assegno divorzile ha come archetipo la carenza di risorse economiche per soddisfare le normali esigenze di vita tal caso l’assegno, e resta parametrato ai criteri in tema di alimenti di cui all’art. 438 c.c. (Cass. 19306/2023).
L’assegno assume eterogeneo scrutinio allorquando venga pure accampata una pretesa di tipo perequativa compensativa, ovvero se lo squilibrio economico sia conseguenza delle scelte fatte nella vita matrimoniale; in detta evenienza, va parametrato al contributo che il richiedente dimostri avere dispensato nella formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante il matrimonio o l’unione civile.
E’ questa la valutazione più complessa, nel cui ambito parità e solidarietà si cumulano con il principio di autoresponsabilità, svincolando l’assegno dal criterio del tenore di vita, per rapportarsi di contro ad un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare (Cass. 22/03/2023, n. 8254).
Tutti questi principi, per tempo dettati riguardo all’assegno divorzile, ben si prestano ad essere trasfusi nelle unioni civili.
La sentenza citata incentra la sua attenzione proprio sul profilo compensativo, di più complesso scrutinio, essendo più variegata la ponderazione rimessa al giudice di merito.
La funzione compensativa, ancora una volta, presuppone per il richiedente non solo l’avere rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali, ma anche un contributo, esclusivo o prevalente, nella formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro componente della coppia, pure sotto forma di risparmio. E’ dunque necessario dimostrare il significativo contribuito alla vita familiare, sostanziatosi nel farsi carico in via esclusiva o preminente della cura e dell’assistenza della famiglia e dei figli, o comunque altre forme di contributo alla carriera del coniuge e alla formazione del suo patrimonio o del patrimonio comune.
Cristallizzati i termini di indagine da parte del giudice di merito, al momento di vagliare la debenza dell’assegno e la relativa entità, è da intendersi erronea la sentenza adottata all’esito di uno scrutinio limitatosi a valutare da un lato, la disparità economica tra le parti, secondo un astratto calcolo aritmetico -e ciò obliterando il fatto che la richiedente l’assegno è dotata di mezzi e ha un lavoro nel pubblico impiego assistito dalla garanzia della stabilità-, e, dall’altro il sacrificio di una prospettiva di carriera, senza accertare se si fosse determinato o aggravato uno squilibrio economico-patrimoniale dapprima inesistente o di minore entità (Corte di Cassazione, Sezione Prima, Ordinanza 17/09/2025 N. 25495).

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