Comunicazione di avvio del procedimento non necessaria, se il destinatario dell’attività pubblicistica non può comunque interferire nella spendita del potere coercitivo

Il provvedimento dell’Agenzia del Demanio, cui cui si dispone il mantenimento dei beni sequestrati a mafiosi al patrimonio indisponibile dello Stato,  non necessita di comunicazione di avvio del procedimento, ferma la impossibilità di garantire agli originari proprietari la perdurante disponibilità della res,  mediante titolo interinale di godimento.  Consiglio di Stato Sez. Quarta – Sent. del 06.12.2011, n. 6395

Consiglio di Stato Sez. Quarta – Sent. del 06.12.2011, n. 6395

Fatto

Con ricorso iscritto al n. 5142 del 2005, Do. Gi. e Vi. Sa. propongono appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione prima, n. 224 del 25 gennaio 2005 con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro il Ministero dell’economia e delle finanze, l’Agenzia del demanio e la Prefettura di Bari per l’annullamento del decreto prot. nr. 47020 in data 7 gennaio 2004, a firma del direttore centrale, con il quale la direzione centrale beni confiscati dell’Agenzia del demanio ha disposto il mantenimento al patrimonio indisponibile dello Stato dell’immobile adibito ad abitazione principale del nucleo familiare dell’appellante Gi., sottoposto a confisca dall’autorità penale, nonché di ogni altro atto lesivo al predetto comunque connesso, ancorché non conosciuto, ivi inclusa l’ordinanza prot. nr. 2004/3075 in data 11 febbraio 2004 della filiale di Bari dell’Agenzia del demanio, recante ordine di rilascio dell’immobile, ed il parere reso dal Prefetto di Bari con nota nr. 99/2228/GAB in data 16 giugno 2000.
A sostegno delle doglianze proposte dinanzi al giudice di prime cure, i ricorrenti impugnavano gli atti sopra indicati, tutti relativi a vicende coinvolgenti un immobile di proprietà dell’attuale appellante Sa., sito in (…) alla via (…).
Tale appartamento, adibito a residenza familiare dei ricorrenti, veniva sottoposto a confisca provvisoria con decreto nr. 256/96 M.P. del 6 ottobre 1997 del Tribunale di Bari – sezione misure di prevenzione, e la misura diveniva definitiva in data 13 novembre 1998.
In seguito, veniva avviata la fase istruttoria di cui agli artt. 2 decies e 2 undecies della legge 31 maggio 1965 n. 575 (ora Decreto Legislativo n. 159/2011 ndr), al fine di decidere la destinazione del cespite confiscato, con l’acquisizione dei pareri del dirigente del competente Ufficio territoriale del demanio, del Prefetto, del Sindaco del Comune di Giovinazzo e dell’amministratore giudiziario del bene confiscato.
Con delibera n. 24 del 29 febbraio 2000, il consiglio comunale di Giovinazzo, aderendo alla proposta dell’amministratore giudiziario, disponeva, ai sensi dell’art. 2 undecies, comma II, lett. b), della legge n. 575 del 1965, concedersi l’immobile in locazione agli odierni appellanti.
Al contrario, il Prefetto di Bari, con nota nr. 99/2228/12B1/GAB del 16 giugno 2000, proponeva che il bene venisse mantenuto al patrimonio dello Stato, al fine di destinarlo ad alloggio per militari in servizio presso la stazione carabinieri di Giovinazzo; identica proposta veniva formulata dal direttore della filiale di Bari dell’Agenzia del demanio con nota prot. n. 6640/02 del 16 aprile 2002, ed in tal senso provvedeva il direttore dell’Agenzia del demanio in data 7 gennaio 2004, cui seguiva ulteriore nota con la quale i ricorrenti venivano invitati a liberare l’immobile entro 60 giorni.
Avverso tali ultime determinazioni insorgevano in primo grado gli attuali appellanti lamentando violazione degli artt. 3, 7 e seguenti della legge sul procedimento; violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità ex art. 97 della Costituzione; violazione del principio del giusto procedimento; eccesso di potere per ingiustizia manifesta; difetto di istruttoria e motivazione; abnormità procedimentale. Le doglianze evidenziavano come era stata omessa la comunicazione di avvio del procedimento agli interessati, in tal modo impedendosi agli odierni ricorrenti di rappresentare le proprie ragioni ed esigenze, né ricorrendo particolari ragioni di urgenza ovvero altra delle circostanze in cui è possibile derogare all’obbligo di notificare la predetta comunicazione. Inoltre, l’amministrazione aveva acriticamente recepito la proposta del dirigente della filiale di Bari dell’Agenzia del demanio, omettendo altresì di motivare in ordine alle ragioni che inducevano invece a disattendere il diverso orientamento espresso dal consiglio comunale di Giovinazzo, che aveva ritenuto di autorizzare la concessione dell’immobile in locazione ai ricorrenti, individuando in essa una finalità di carattere istituzionale e sociale.
Costituitisi l’Agenzia del demanio ed il Ministero dell’interno – Ufficio territoriale del governo di Bari, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, in relazione alle ragioni sottese alla disciplina in tema di amministrazione dei beni confiscati alle associazioni criminali.
Contestando le statuizioni del primo giudice, le parti appellanti evidenziano l’errata ricostruzione in fatto ed in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo le ragioni già individuate dinanzi al T.A.R.
In assenza di costituzione delle controparti, alla pubblica udienza del 25 ottobre 2011, il ricorso è stato discusso ed assunto in decisione.

Diritto

1. – L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.
2. – Con un unico motivo di diritto, articolato in due distinti profili, si deduce violazione della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia, violazione degli art. 3, 7 e seguenti della legge sul procedimento, violazione dell’art. 2 decies della legge 575 del 1965. In dettaglio, la censura evidenzia come nella vicenda in questione sia mancata la comunicazione di avvio del procedimento, in relazione all’appellante Sa., coniuge dell’appellante Gi. ed unica proprietaria del bene poi oggetto di confisca.
Si evidenzia in appello come il giudice di prime cure si sia fondato sull’affermazione che la comunicazione non fosse necessaria, non essendovi alcun contributo che gli interessati avrebbero potuto fornire all’azione amministrativa. Tuttavia, tale affermazione non tiene conto che, da un lato, gli appellanti avevano conseguito una posizione legittimante, avendo inoltrato all’Agenzia del demanio un’apposita richiesta di utilizzazione dell’immobile a titolo locativo, e dall’altro, che il contenuto del provvedimento non fosse vincolato, rinvenendosi nel procedimento pareri eterogenei, essendovi agli atti anche la valutazione dell’amministratore giudiziario del compendio che appariva favorevole al chiesto beneficio.
2.1. – La doglianza, nel suo duplice aspetto, non può essere condivisa.
Sotto il primo punto di vista, deve evidenziarsi la correttezza del percorso argomentativo del primo giudice.
Va infatti sottolineato come l’esistenza di una eventuale posizione differenziata, in questo caso attivata dalla stessa iniziativa delle parti interessate mediante la proposizione di un’istanza di attribuzione in locazione del cespite confiscato, si colloca in una fase giuridicamente precedente a quella successiva dell’effettiva possibilità di una partecipazione fattiva al procedimento amministrativo. Nel primo caso, si controverte sul possibile riconoscimento in astratto di una legittimazione all’introduzione di elementi conoscitivi nell’azione amministrativa; nel secondo, sull’effettiva possibilità che tali elementi siano utili nella ricostruzione dei fatti e degli interessi necessari alla decisione, e non la concessa partecipazione non si risolva in una mera formalità.
L’esistenza di una posizione legittimante, data dall’essere soggetto nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti sul soggetto che per legge deve obbligatoriamente essere interessato, è infatti il presupposto necessario, a norma dell’art. 7 della legge sul procedimento, per essere destinatari della comunicazione di cui allo stesso articolo. Non è tuttavia elemento in sé sufficiente a conseguire la comunicazione stessa, venendo in rilievo unitamente ad ulteriori considerazioni, coinvolgenti complessivamente l’efficienza stessa dell’azione amministrativa, in relazione ai suoi tempi ed ai suoi contenuti.
La censura qui proposta appare quindi inconferente per dimostrare l’erroneità del ragionamento condotto dal giudice di prime cure. Questi infatti non ha contestato la posizione delle parti, anzi ha espressamente dato atto di una loro situazione tutelabile, negata in primo grado dalle amministrazioni costitutite, ma ha escluso che gli originari ricorrenti potessero apportare alcuna ragione ulteriore, rilevante dal punto di vista procedimentale. La valutazione operata dal T.A.R. della Puglia si colloca quindi a valle dell’acquisita esistenza di una forma di legittimazione, qualunque essa sia, e non la mette in dubbio, ma fa risaltare, in opposizione, l’esistenza di ragioni che autorizzano l’amministrazione, in una ottica ampiamente condivisa in giurisprudenza, a non procedere all’avviso di cui all’art. 7 della legge sul procedimento nei casi di contenuto vincolato del provvedimento (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. VI, 18 agosto 2010, n. 5879).
La doglianza si colloca quindi in una fase concettuale che non incide sulla correttezza e sulla condivisibilità della sentenza, e va quindi ritenuta non fondata.
2.2. – Ben altrimenti rilevante, proprio al fine di ricostruire e controllare la scansione motivazionale della decisione giudiziaria, è la seconda parte della censura proposta, dove viene sostenuto come il provvedimento non avesse un contenuto predeterminabile, stante la presenza di pareri differenti in merito all’accoglibilità dell’istanza proposta. La censura appare conferente, atteso che, qualora si dimostrasse la non consequenzialità obbligata del contenuto provvedimentale, la doglianza sul mancato avviso procedimentale, prima esaminata, verrebbe a perdere la sua unica giustificazione.
La doglianza non ha però alcun pregio.
Il giudice di prime cure, partendo dall’esame della normativa applicabile alla fattispecie, ossia l’art. 2 undecies dell’allora vigente legge 31 maggio 1965 n. 575 “Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere”, ha evidenziato come il sistema normativo prevedesse una stretta e cogente indicazione dei possibili usi degli immobili confiscati e la funzionalizzazione a esigenze ben determinate.
Con maggiore dettaglio, la lett. b) del citato articolo prevedeva, tra l’altro, che i beni immobili potessero essere trasferiti per finalità istituzionali o sociali al patrimonio del comune ove sono siti.
Come bene evidenziato dal primo giudice, la delibera n. 24 del 2000, con cui il consiglio comunale di Giovinazzo aveva ritenuto di fare applicazione della lettera b) ed aveva qualificato come finalità sociale quella di evitare che la famiglia degli odierni ricorrenti restasse senza un tetto ove alloggiare, si collocava in aperta antitesi con le finalità della legge, determinando un sostanziale aggiramento elusivo del provvedimento di confisca, ossia di un atto ablatorio la cui finalità è fondamentalmente quella di sottrarre il bene alla disponibilità dell’interessato. Infatti, le finalità istituzionali o sociali indicate nella norma non possono certamente farsi coincidere con le aspirazioni del soggetto a cui il bene è stato sottratto, circostanza che renderebbe inutile l’intero processo di confisca, ma devono essere collegate ad un interesse della collettività, come dimostrato dal testo normativo che fa riferimento ad una serie possibile di impieghi.
Sulla scorta di tali considerazioni, deve quindi sottolinearsi come l’assegnazione dell’immobile a fini abitativi agli stessi soggetti a cui era stato confiscato è fatto non compatibile con la ratio della legge e con la struttura dell’intera fattispecie ablatoria.
Lo stretto collegamento, tipico dei provvedimenti amministrativi, tra presupposti di legge e effetti da questa derivanti, mediati eventualmente dalla discrezionalità del soggetto pubblico, esclude, ai fini della stessa legittimità dell’atto, che gli esiti procedimentali possano essere determinati ad libitum dai partecipanti all’azione amministrativa, proprio perché l’azione amministrativa si fonda e si giustifica all’interno dei limiti normativamente previsti. Non è quindi immaginabile che la tipicità degli esiti procedimentali possa essere esclusa da un apporto, come nel caso in specie dal parere espresso dall’amministratore giudiziario, il cui contenuto è del tutto dissonante con la ratio normativa e che, di fatto, verrebbe ad introdurre un possibile esito decisionale contra legem. La presenza di un parere procedimentale del tenore di quello appena valutato non sconfessa la ricostruzione operata dal giudice di prime cure, in quanto non idoneo ad introdurre nell’azione amministrativa delle finalità ulteriori e diverse rispetto a quelle indicate dalla legge.
Deve quindi confermarsi come il provvedimento gravato, dove implicitamente esclude che il bene confiscato possa essere condotto dagli stessi soggetti ai quali è stato sottratto, sia strettamente attuativo della norma di legge e, per parte qua, di contenuto vincolato.
3. – L’appello va quindi respinto. Nulla per le spese processuali, stante la mancata costituzione delle controparti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:
1. Respinge l’appello n. 5142 del 2005;
2. Nulla per le spese.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Depositata in Segreteria il 06.12.2011

 

——————————————————————

Studio Legale Avvocato Francesco Noto – Cosenza

Tags:

Lascia un commento