Cosa succede se non si osserva la distanza da due costruzioni?
Come si calcola la distanza tra due immobili?
Cosa succede in caso di appurata elusione delle distanze previste dal codice civile o dai regolamenti comunali?
E’ necessario in tale ultimo caso dimostrare un danno per effetto del mancato arretramento dell’opera?
La questione del rispetto delle distanze minime previste in tema di costruzione degli edifici assume marcata importanza nel contesto urbano, a causa di uno sviluppo edilizio ed abitativo sempre meno pianificato e dunque conflittivo, che spinge ad innalzare una costruzione senza averne dapprima interessato il proprietario dell’immobile finitimo. Da qui un sempre fiorente contenzioso, che ha indotto la giurisprudenza a delineare gli strumenti a tutela del confinante (sul duplice piano del ripristino e del risarcimento del danno), qualora un manufatto sia irriguardoso delle distanze previste dal codice civile o dai locali regolamenti.
Da qui la necessità di capire quando è possibile parlare di inosservanza e, una volta integrata tale fattispecie, sul piano probatorio quali oneri ricadono sul confinante che chieda procedersi ad una tutela ripristinatoria e risarcitoria.
Tali articolati interrogativi trovano un chiaro riscontro in una recente sentenza della Corte di Cassazione (N° 7290 del 19/03/2025), chiamata a dirimere una controversia volta ad appurare la effettiva inosservanza delle distanze minime legali, nel caso di specie da scrutinare alla stregua del principio di prevenzione. Per meglio comprendere il principio di diritto palesato dai Giudici di Legittimità, è opportuno riepilogare la vicenda nei gradi anteriori di merito.
Una coppia di attori ha convenuto dinanzi al Tribunale di Ancona i confinanti, sostenendo avere questi ultimi edificato nella corte di loro proprietà un muro di contenimento ed un garage in violazione delle distanze previste dalle norme edilizie locali; chiedevano gli attori, di conseguenza, la condanna all’arretramento delle opere nel rispetto della distanza legale prevista dalle norme tecniche di attuazione del PRG, e un risarcimento dei danni patiti secondo equità. La controparte, costituendosi, rilevava come la disciplina edilizia non fosse applicabile, poiché si trattava di un muro di recinzione e, con riferimento al garage, rilevava applicabile il principio di prevenzione ai fini della possibilità di effettuare la costruzione sul confine.
Il tribunale di prime cure, a seguito anche della CTU nominata, accoglieva la domanda della parte attrice, disponendo il ripristino dello stato dei luoghi e condannando la controparte al risarcimento del danno non patrimoniale, determinato in via equitativa. A seguito di ciò, la convenuta soccombente ricorreva in appello, ferma tuttavia nel confermare la statuizione di primo grado. Infatti, la Corte d’Appello di Ancona, pur non escludendo la compatibilità del principio della prevenzione con la normativa locale sulla distanza di confine, respingeva il gravame, rilevando l’insussistenza di atti a supporto della preesistenza del muro e del garage, e confermava così quanto statuito dal giudice di prime cure in merito alla liquidazione equitativa del danno.
Avverso la sentenza d’Appello, la parte convenuta ricorreva dinanzi la Corte di Cassazione, per censurare innanzitutto la mancanza di un accertamento di fatto da parte del giudice di merito, ovvero se le costruzioni insistenti sulle proprietà delle parti fossero frontistanti ai fini dell’applicazione del principio di prevenzione (art. 873 e ss cc); altresì rilevava un errore compiuto dalla corte di merito, poiché aveva ritenuto incombente sulla parte convenuta del giudizio l’onere probatorio relativo la preesistenza delle proprie costruzioni, quanto invece sarebbe spettato alla parte attrice; infine, con riferimento al risarcimento del danno, per come statuito dal giudice di merito, censurava avere il giudice di merito completamente omesso qualsiasi motivazione in merito ai criteri impiegati per la determinazione del danno da risarcire, nonché la mancanza di prova dell’effettiva sussistenza di un pregiudizio.
La Corte di Cassazione, analizzata la questione nei suoi diversi punti, giunge ad una soluzione molto articolata, suddivisa nei tre punti di seguito esposti.
1) La Suprema Corte si interessa della eccepita mancanza di accertamento deputato ad acclarare se le costruzioni fossero frontistanti o meno, giungendo, però, alla conclusione della totale irrilevanza rispetto alla questione odierna, incentrata, invece, sulla contestata violazione della distanza dal confine, e non dall’altro edificio. La stessa corte afferma come, la ragione del mancato rilievo dell’accertamento, andava individuato nella giurisprudenza consolidata, secondo cui debba essere dato rilievo ai regolamenti edilizi locali, in grado di derogare il principio civilistico della prevenzione, i quali sono volti “non solo ad evitare la formazione di intercapedini nocive tra edifici frontistanti, ma anche a tutelare l’assetto urbanistico di una data zona e la densità edificatoria in relazione all’ambiente, sicché, ai fini del rispetto di tali norme, rileva la distanza in sé, a prescindere dal fatto che le costruzioni si fronteggino”. In poche parole, occorreva verificarsi solo la violazione della distanza legale dal confine, senza dare alcun rilievo al fatto se le costruzioni fossero frontistanti o meno. Perciò, la Corte ha respinto la prima eccezione.
2) Altresì, la Corte è chiamata a dare una soluzione in materia di onere probatorio poiché il tribunale non aveva ritenuto sussistere in capo all’originario attore l’onere, in materia di distanze tra costruzioni, di provare la preesistenza del suo fabbricato rispetto a quello convenuto. Tuttavia, la Corte rileva come quanto sostenuto dal ricorrente fosse errato, poiché il caso odierno riguardava la violazione della distanza di costruzioni dal confine, non dalle costruzioni, per cui, una volta accertata e provata tale violazione da parte dell’attore, non doveva essere fornita alcuna prova della preesistenza della costruzione, poiché ininfluente sulla violazione lamentata. La stessa, inoltre, ha ricordato essere la portata integrativa delle norme locali -sulle distanze legali- estesa anche al principio codicistico della prevenzione, ma i regolamenti possono escludere l’operatività di tale principio, prescrivendo una distanza minima dal confine, o negando espressamente la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza e, nell’odierna controversia, le norme di attuazione del PRG prescrivevano proprio una distanza minima dal confine, così da escludere in tal modo l’operatività della prevenzione.
3) Da ultimo, il ricorrente impugnava la decisione del giudice di merito in tema di risarcimento del danno riconosciuto alla parte attrice, sulla base della carenza di motivazione in tema di criteri di determinazione adoperati e carenza di prova dell’effettiva sussistenza del danno. La Corte di Cassazione ha ritenuto non corretta l’esegesi del giudice di merito, nella misura in cui ha applicato l’indirizzo sostenuto da una parte della giurisprudenza, ed ha così ritenuto i danni subiti dimostrati in re ipsa, senza alcuna specifica attività probatoria. Per la Corte di Legittimità la posizione assunta dal giudice di merito è errata, e non aderente all’orientamento assunto dalla giurisprudenza di legittimità negli ultimi anni. Infatti, la Suprema Corte, in tema di prova del danno da violazione del diritto di proprietà e di altri diritti reali, è giunta ad una teoria mediana rispetto quella puramente normativa del danno e quella causale. In breve, al danneggiato spetta sia la tutela in forma specifica, sia la tutela in forma risarcitoria ma, con riferimento al risarcimento, viene adoperato una conversione da danno in re ipsa a “danno presunto”, poiché il danno risarcibile non riguarda la cosa in sé, bensì il diritto di godere in modo pieno ed esclusivo del bene. Pertanto, il danno deve essere provato da chi lo lamenta, in questo caso anche tramite presunzioni, ma non può esimersi dall’onere di allegazione fatti e circostanze. Tali principi, ha concluso la Corte, non sono stati applicati dal Giudice di merito, e pertanto la sentenza di seconde cure è stata cassata per un nuovo vaglio sui profili risarcitori (Corte di Cassazione, Seconda Sezione Civile, sentenza 19 Marzo 2025, N° 7290)

Studio Legale Avvocato Francesco Noto – Cosenza Napoli Roma