La richiesta di restituzione della caparra comporta l’acquisto tacito dell’eredità

La Corte di Legittimità traccia l’esatto confine delle condotte negoziali poste in essere dal chiamato all’eredità, così da distinguere l’operato rientrante in un mero alveo conservativo dalla accettazione tacita del patrimonio del de cuius. Nel caso di specie, la parte ricorrente, dopo due gradi di merito negativo, contestava lo status di erede -condizione soggettiva cui avrebbe fatto seguito il legittimo recesso della controparte- sul presupposto che, la richiesta di riconsegna della caparra, da parte del promittente venditore, doveva intendersi quale mera fattispecie conservativa. Di diverso avviso il Giudice Nomofilattico. Dopo avere innanzitutto disatteso l’intento di ricostruire diversamente l’antefatto contrattuale, perché demandato al solo giudice di merito -salvo come notorio sussumere la distonia tra la norma codicistica e la vicenda enarrata-, la sentenza focalizza il distinguo di effetti tra le condotte rimesse al chiamato dell’eredità. Ciò premesso, la domanda di restituzione della caparra confirmatoria, versata in sede di contratto dal defunto, costituisce a tutti gli effetti un atto dispositivo del patrimonio, e non può equipararsi ad una mera richiesta di pagamento di un credito vantato a qualsiasi titolo dal dante causa, per la quale, di contro, prevalere la funzione obiettivamente conservativa, e non di accettazione tacita. La richiesta di versamento di un credito costituisce attività finalizzata a preservare l’integrità del patrimonio ereditario. L’intento di sovrapporre le due fattispecie, praticata dal ricorrente, trova allora precisi limiti esegetici, ove si considerino le causali delle due condotte: la chiesta restituzione della caparra confirmatoria versata in sede di contratto, salvo diverso accordo delle parti, presuppone l’intervenuto scioglimento del vincolo contrattuale, sia esso consensuale ovvero unilaterale. Siffatta condotta ha dunque una implicazione dispositiva dei diritti ereditari, perché tesa a dare, da un punto soggettivo del tutto novatorio, una regolamentazione della stipula diversa da quella impressa dal contraente deceduto, tendente a farne cessare gli effetti, ben diversa dalla più circoscritta finalità conservativa. Da qui il legittimo inoltro di una diffida ad adempiere, nel cui termine assegnato l’erede non ha eccepito ex art. 1460 cc la mancata acquisizione del certificato di destinazione urbanistica (non ritenuta comunque una valida esimente), legittimando così l’incameramento della caparra da parte del promittente venditore (Cassazione Civile., Sezione Seconda, sentenza N° 26690 del 18 Settembre 2023).

Studio Legale Avvocato Francesco Noto Cosenza Napoli

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