Le indagini bancarie, estese anche ai familiari, legittimano l’accertamento fiscale in danno di qualsiasi tipologia di contribuente, salvo prova del contrario da parte di quest’ultimo.

La Corte di Cassazione, a distanza di pochi mesi dalla sentenza chiarificatrice della Corte Costituzionale N° 10/2023, ha riepilogato il raccordo tra Agenzia delle Entrate e contribuente, nelle ipotesi in cui quest’ultimo sia un piccolo imprenditore legittimato alla tenuta semplificata delle scritture contabili. Nell’accogliere il ricorso dell’Ufficio fiscale (le cui percentuali di successo nell’ultimo grado di lite hanno raggiunto percentuali plebiscitarie), la Corte delinea uno scenario connotato da un palese squilibrio sostanziale e probatorio, ancor più se si considera giungere sovente l’accertamento fiscale alla scadenza del canonico quinto anno. Il Giudice di Legittimità premette innanzitutto la valenza dell’accertamento bancario, costituente uno strumento a disposizione dell’Ufficio fiscale per impiantare l’avviso ex art. 42 DPR 600/1973 in danno di qualsiasi contribuente, e non solo dei professionisti e degli imprenditori. Per tali ultime categorie, l’art. 32 DPR N° 600/1973 accorda ad AE uno strumento di verifica ben più semplificato, in forza della presunzione che legittima considerare i prelevamenti come ricavi o compensi, e pure i versamenti (salvo non valere tali poste contabili per i liberi professionisti, come sancito dal Giudice delle Leggi con la sentenza N° 228/2014). Integrate tali fattispecie sul piano oggettivo e soggettivo -per nulla circoscritto-, sarà il contribuente a dovere offrire la prova contraria, adempiendo l’onere di dimostrare che «ne hanno tenuto conto ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine». Tale prova, rammenta l’Organo nomofilattico, si sostanzia nel riscontro che “i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili; pertanto, in virtù della disposta inversione dell’onere della prova, grava sul contribuente l’onere di superare la suddetta presunzione (relativa) dimostrando la sussistenza di specifici costi e oneri deducibili, riscontro fondato su concreti elementi di prova e non già su presunzioni o affermazioni di carattere generale o sul mero richiamo all’equità”. Non si tratta di una prova di agevole enucleazione, per assumere doverosa portata analitica, consistente nella riferibilità di ogni singola posta contabile alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività. In tale complessa ricostruzione contabile operata a posteriori, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturenti da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore, anche se destinatario di un accertamento analitico-induttivo, può sempre eccepire l’incidenza percentuale dei costi relativi, così da detrarli dall’ammontare dei prelievi non giustificati. Ad alleviare i poteri ispettivi dell’Ufficio si cumula altresì la possibilità di impiantare la additata condotta evasiva su verifiche bancarie estese al coniuge o al familiare del contribuente, e la riferibilità a quest’ultimo può fondarsi su elementi sintomatici, quali la stretta familiarità, l’ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti e l’esercizio di attività da parte del contribuente compatibile con la produzione della maggiore redditività riferita a dette persone (Cassazione Civile, Sentenza 15 Giugno 2023 N° 17173).

Studio Legale Avvocato Francesco Noto Cosenza Napoli

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