Le terre private gravate da uso civico possono essere vendute ed assoggettate ad esecuzione immobiliare

Il Giudice delle Leggi boccia la recente riscrittura dei demani collettivi, e mostra la approssimazione insita nei tentativi di risistemare la materia in ambito nazionale e regionale, con molteplici svariate leggi, travolte più volte dalla scure della declaratoria di incostituzionalità. Come risaputo, la legge n. 168 del 2017 ha annoverato tra i demani collettivi “le terre di originaria proprietà collettiva della generalità degli abitanti del  territorio  di  un  comune  o  di  una  frazione, imputate o possedute da  comuni,  frazioni  od  associazioni  agrarie comunque denominate”, e pure le terre private gravate da promiscuità civica in essere e non ancora liquidata. Per entrambe le tipologie di suoli la novella del 2017 ha previsto il medesimo limite alla circolazione, assoggettando le aree anzidette al regime giuridico di inalienabilità, indivisibilità ed inusucapibilità (art. 3 comma 3 l. N° 168/2017). Tali divieti di alienazione, tuttavia, non trovano conforto nella anteriore (e vigente) legislazione del 1927, per essere circoscritti alle sole terre collettive civiche, e non anche ai suoli allodiali gravati da imposizione civica. Più in dettaglio, l’art. 11 L. N° 1766/1927 ha operato un distinguo tra: a) i terreni “convenientemente utilizzabili come bosco o come pascolo permanente”; b) le aree “convenientemente utilizzabili per la coltura agraria”. Il limite ad alienare è circoscritto alla sola prima tipologia di immobili -salvo autorizzazione ex art. 12-, mentre la ulteriore categoria è sottoposta ad un regime più articolato (possibile ripartizione ed assegnazione a coltivatori diretti, a titolo di enfiteusi con obbligo delle migliorie ed eventuale affrancazione). Rileva allora la Corte Costituzionale l’illogicità di una norma che sovrappone la tutela del bene civico ed il regime di circolazione del medesimo. Nella fase antecedente alla liquidazione degli usi civici, le ragioni di salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio, attratte nella funzione sociale, si realizzano semplicemente preservando la piena tutela degli usi civici, in quanto essi stessi assicurano, grazie anche al vincolo paesaggistico, la conservazione della destinazione paesistico-ambientale del territorio. Siffatto interesse non è infirmato dalla circolazione della proprietà privata gravata da usi civici non ancora liquidati. Il carattere della realità, proprio del bene privato, preserva la fruizione del bene civico da possibili alterazioni derivanti dalla cessione a terzi, e la sussistenza di un vincolo paesaggistico (art. 3 L. N° 168/2017) preclude pertanto introdurre cambiamenti e dunque pregiudizi in capo ai beneficiari civici. La codificata inalienabilità dei beni burgensatici, caratterizzati da imposizione civica, non può allora giustificarsi con la tutela dei medesimi, ovvero con la tutela dell’interesse paesistico-ambientale (Corte Costituzionale, sentenza 15 Giugno 2023, N° 119).


Studio legale Avvocato Francesco Noto Cosenza Napoli

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