Per la realizzazione di un manufatto su suolo pubblico non è sufficiente il solo provvedimento che autorizzi l’occupazione dell’area medesima

Il Giudice amministrativo di seconde cure  evidenzia la differente causale che assiste il provvedimento per l’occupazione di una superficie pubblica, e l’autonomo titolo abilitativo, che assolve la eterogenea funzione di consentire la trasformazione dell’area, tale intendendosi  ogni stabile mutamento dello stato dei luoghi. Consiglio di Stato, Sezione VIª, Sentenza N° 1106 del 27 Febbraio 2012.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10387 del 2011, proposto dalla signora Alba Soldatelli, rappresentata e difesa dall’avv. Edoardo Giardino, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via A. Emo, 106;

contro

Comune di Mazzano Romano;

nei confronti di

Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria per legge presso la sede di Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il LAZIO – ROMA, SEZIONE prima quater, 24 ottobre 2011, n. 08169, resa tra le parti, concernente RIMOZIONE DI OPERE ABUSIVE REALIZZATE SU SUOLO PUBBLICO IN RELAZIONE A PARERE DI COMPATIBILITÀ PAESAGGISTICA.

 

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della Sopraintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2012 il Cons. Gabriella De Michele e udito per l’appellante l’avv. Giardino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

 

FATTO e DIRITTO

La questione sottoposta all’esame del Collegio concerne l’ordine di immediata rimozione di un chiosco, adibito a rivendita di giornali, emesso dal Comune di Mazzano Romano in data 19 luglio 2011, nonché del parere del Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali-Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo, emesso il 29.11.2010. Il ricorso avverso tali provvedimenti è stato respinto dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, sez. I quater, con sentenza n. 8169/11 del 24.10.2011, emessa in forma semplificata, in considerazione della constatata mancanza del titolo abilitativo idoneo per la realizzazione del manufatto e del parere della Soprintendenza, che rilevava l’impatto prospettico del chiosco rispetto alla visuale dell’immobile tutelato (parere a sua volta oggetto di impugnativa, ma non sulla base di puntuali ed autonomi motivi di gravame).

Con l’atto di appello in esame (n. 10387/2011, notificato il 14.12.2011) le conclusioni sopra sintetizzate vengono contestate, in quanto non sarebbero stati considerati i “plurimi provvedimenti”, in base ai quali dovrebbe ritenersi legittimata l’installazione del chiosco di cui trattasi (concessioni per la concessione di suolo pubblico e per il relativo ampliamento, nonché atto di autorizzazione per la vendita al minuto di articoli di cartoleria, giornali e riviste), con ulteriore erronea configurazione dell’ingiunzione impugnata come atto discrezionale, mentre l’assenza di titolo abilitativo avrebbe reso doveroso e vincolato il provvedimento repressivo. Detto provvedimento, viceversa, riconduce la disposta rimozione del chiosco all’interesse pubblico, ritenuto prevalente, alla realizzazione di un intervento di recupero e ristrutturazione della piazza Giovanni XXIII, finanziato dalla Regione Lazio. In presenza di un abuso edilizio da rimuovere, peraltro, non sarebbe stata congrua la manifestata disponibilità del Comune “a concedere l’autorizzazione allo spostamento in altra area da concordare”, senza comunque dare poi seguito a tale affermazione. Il provvedimento sanzionatorio, inoltre, non avrebbe potuto essere emesso senza previo annullamento, in via di autotutela, dei “provvedimenti….ampliativi e legittimanti per la ricorrente…a tutt’oggi vigenti”, non potendosi “ordinare la rimozione di un’opera, la cui esistenza è tuttavia legittimata da altro atto amministrativo, a sua volta….pienamente legittimo ed efficace”. Confermerebbe la legittimità del manufatto realizzato la dicitura, contenuta nell’atto di concessione, secondo cui il titolo in questione veniva rilasciato fino al 31.12.1989 e si sarebbe rinnovato tacitamente negli anni successivi “salvo però il diritto dell’Amministrazione comunale di far rimuovere il manufatto, ove esigenze diverse lo rendano necessario”, con conseguente giusto titolo della concessionaria a partecipare al procedimento, conclusosi con l’emanazione dell’ingiunzione impugnata. Quanto al parere della Soprintendenza, il vizio di legittimità – che la sentenza di primo grado afferma erroneamente non dedotto – consisterebbe nell’erronea valutazione di abusività del manufatto. La sentenza appellata, inoltre, non avrebbe potuto rilevare la manifesta infondatezza del ricorso, ex art. 74 D.Lgs. 2.7.2010, n. 104, senza esaminare compiutamente tutte le argomentazioni difensive del ricorrente, con conseguente insussistenza dei presupposti applicativi della predetta norma. Illegittima, infine, dovrebbe ritenersi la condanna alle spese, che prescinderebbe “dai motivi di fatto e di diritto che comprovano la fondatezza delle ragioni della ricorrente”.

Premesso quanto sopra il Collegio ritiene che la causa – giunta alla camera di consiglio in data odierna per la decisione dell’istanza cautelare – possa essere decisa nel merito, sussistendo i presupposti di cui all’art. 60 del citato D.Lgs. n. 104/2010, in quanto – in base alla documentazione in atti ed alle stesse argomentazioni difensive della parte appellante – il chiosco di cui trattasi risulta effettivamente privo di titolo abilitativo, sotto il profilo urbanistico-edilizio. Contrariamente a quanto sostenuto nell’appello, infatti, per l’esecuzione di opere su suolo di proprietà pubblica non è sufficiente il provvedimento di concessione per l’occupazione di detto suolo, ma occorre l’ulteriore ed autonomo titolo edilizio, che opera su un piano diverso – e risponde a diversi presupposti – rispetto sia all’atto che accorda l’utilizzo a fini privati di una determinata porzione di terreno di proprietà pubblica, sia ad altri atti autorizzativi eventualmente necessari (come, per quanto qui interessa, l’autorizzazione commerciale per la vendita di determinati prodotti). La nozione di costruzione, per cui si richiede il rilascio del titolo abilitativo in questione (permesso di costruire), si identifica d’altra parte con qualsiasi trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, intesa come modifica dello stato dei luoghi caratterizzata da stabilità, a prescindere dai materiali usati, quando si tratti di soddisfare esigenze non precarie del soggetto che tale trasformazione ponga in essere (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. VI, 27.1.2003, n. 419).

Quando pertanto la Soprintendenza ha rilevato, per diversi fini (ovvero nell’ambito di un parere, espresso per lavori di ristrutturazione della piazza) l’abusività di manufatti, che si chiedeva di rimuovere come condizione per la positività del parere stesso, in modo da “riqualificare effettivamente i prospetti dell’edificio e renderne libera la visuale”, l’Amministrazione non ha potuto che emettere l’ordinanza impugnata, con una sovrabbondanza di motivazione che – ai sensi dell’art. 21 octies della legge n. 241/1990, come successivamente modificata ed integrata – non offre spunti per il richiesto annullamento di un atto, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso, senza che si imponesse alcuna misura in via di autotutela in rapporto a provvedimenti (concessione per l’occupazione di suolo pubblico, ampliamento dell’area concessa ed autorizzazione commerciale), che non si sovrapponevano al titolo abilitativo mancante né potevano sostituirlo, per diversità di presupposti normativi e di interessi pubblici sottesi (dovendosi rapportare il titolo urbanistico-edilizio, in via esclusiva, alle dimensioni ed alle caratteristiche costruttive del manufatto di cui si discute). L’Amministrazione comunale, tuttavia, sembra avere rilevato sia l’utilità dell’esercizio commerciale interessato (l’unico del genere, a quanto sembra, a disposizione della collettività locale), sia l’anomalia di una pluriennale permanenza in loco del chiosco, senza che venisse in alcun modo rilevata, da parte degli organi competenti, la necessità di regolarizzazione dello stesso sul piano urbanistico. Appare dunque ragionevole che per la struttura in questione – a quanto sembra prefabbricata e presumibilmente smontabile, o trasportabile – sia stata prevista la possibilità di diversa collocazione, con rilascio di tutte le autorizzazioni necessarie in termini, che l’impegno assunto dall’Amministrazione stessa deve far presumere celeri, nell’interesse anche pubblico al ripristino di un servizio utile per la cittadinanza.

Con riferimento alle censure prospettate, tuttavia, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto, con assorbimento delle ragioni difensive – non già puntualmente esaminate – che presuppongono la legittima collocazione del chiosco sotto ogni profilo giuridicamente rilevante.

La sentenza appellata, inoltre, ha correttamente applicato quanto disposto dagli artt. 60 e 74 del codice del processo amministrativo e fatto discendere dalla soccombenza la condanna della ricorrente alle spese di giudizio e onorari a favore del Ministero resistente.

Quanto alle spese del presente giudizio, tuttavia, il Collegio stesso ravvisa giusti motivi per disporne la compensazione, tenuto conto delle peculiarità della vicenda sottoposta a giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello, come in epigrafe proposto; compensa le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2012 con l’intervento dei magistrati:

 

 

Carmine Volpe, Presidente

Rosanna De Nictolis, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore

Roberta Vigotti, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

 

 

 

 

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 27/02/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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Studio Legale Avvocato Francesco Noto – Cosenza

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