Può ed in che termini la parte venditrice di un immobile dimostrare la fissazione di un diverso prezzo di compravendita e dunque il mancato versamento dell’effettivo saldo convenuto?
La fattispecie, non infrequente, attiene alle ipotesi di due contraenti che fissano un prezzo, salvo poi dichiarare nel rogito di compravendita un importo inferiore, che il venditore provvedere a quietanzare.
Tali sovrapposizioni contrattuali assai facilmente possono sfociare in un litigio, con una parte venditrice che pretende dimostrare gli effettivi accordi intercorsi tra le parti, e dall’altra il venditore, il quale pretende a sua volta applicare pedissequamente il contenuto dell’atto pubblico di vendita.
E’ proprio questo il caso su cui la Corte di Cassazione è stata chiamata a scrutinare, dopo un doppio verdetto favorevole alle ragioni dell’acquirente.
In dettaglio, gli eredi del venditore hanno convenuto in giudizio l’acquirente, al fine di sentire dichiarare il maggiore prezzo concordato dalle parti, rispetto al rogito di compravendita, da intendersi simulato. L’istruttoria di primo grado vedeva escutere la prova per testi, ed acquisire altresì le risultanze di un procedimento penale, da cui sarebbe emerso, secondo la tesi attorea, il riscontro di un maggiore prezzo di compravendita, come da libello introduttivo di lite. Il Primo Giudice, e poi la Corte d’Appello, ritenevano fondata la tesi del venditore, e pertanto raggiunta la prova della simulazione contrattuale circa il prezzo pattuito, in forza di una confessione estrapolabile dagli atti del procedimento penale.
Le parti acquirenti, convenuti in primo grado, hanno così proposto ricorso per cassazione, lamentando il travisamento dei principi che governano il riscontro della avvenuta simulazione, ed in termini gradati l’erronea individuazione del perimetro al cui interno opera la confessione giudiziale.
I Giudici di legittimità ritengono fondati entrambi i motivi, oggetto di contestuale scrutinio per la obiettiva connessione logica.
Sotto un primo aspetto, ritengono gli Ermellini l’erronea prospettazione operata dalle Corti di merito, considerati i precisi limiti alla ammissione di una prova testimoniale volta a dimostrare il diverso prezzo di compravendita, come sancito dall’art. 2722 cc. In sostanza, il prezzo di compravendita costituisce un elemento essenziale del contratto, non passibile di riscontro tramite testimoni; la connotazione simulata del prezzo può essere superato solo mediante apposita controdichiarazione rilasciata al momento di sottoscrivere l’atto pubblico.
Sussiste al riguardo un duplice distinguo, correlato al carattere della simulazione ed al soggetto cui spetta il relativo rilievo; qualora si tratti di simulazione assoluta (ovvero se le parti hanno palesato una stipula, senza tuttavia pretendere la produzione di qualsivoglia effetto giuridico), la prova testimoniale non ammette limiti, e pertanto i giudici per potranno accertare l’effettiva volontà delle parti tramite approfondimento istruttorio; di contro, se la vertenza ha ad oggetto una ipotesi di simulazione relativa (la fattispecie di un prezzo di diverso ammontare), il riscontro di una diversa volontà delle parti può essere dimostrata con ogni mezzo da terzi -caso classico è quello dei creditori di uno dei contraenti-, nel mentre è subordinata ai limiti anzidetti nelle ipotesi di giudizio promosso da una delle parti processuali. Nel caso di diverso accordo sul prezzo, la prova della effettiva volontà delle parti richiede appunto una controdichiarazione, senza alcuna possibilità di affidare il convincimento giudiziale a testimoni.
Simmetriche considerazioni anche in ordine alla dichiarazione di quietanza resa dal venditore; l’affermazione resa dinanzi al notaio rogante di non avere altro a pretendere non è coperta da fede privilegiata ex art. 2700 cc, ma ha comunque natura confessoria, tale da precludere la prova contraria per testi o presunzioni, salvo dimostrare, in analogia con l’art. 2732 cc, che il rilascio della quietanza sia avvenuto per errore di fatto o per violenza ovvero per simulazione. Ma anche in detta evenienza, riaffiora il limite di riscontro tramite testimoni, con la sola eccezione dell’interrogatorio formale del venditore; in sostanza, essendo il divieto ex art. 2726 cc limitato alla sola prova per testi, nulla preclude che la parte chiami il venditore in sede di interpello. Qualora -come ben probabile- la parte neghi la sussistenza di un maggiore importo convenuto tra le parti, in difetto di controdichiarazione, il soggetto venditore perderà la causa, una volta impossibilitato a dimostrare i diversi accordi tra le parti (Corte di Cassazione, Seconda Sezione Civile, sentenza 5 Giugno 2025, N. 15097).

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