La Corte di Legittimità respinge il ricorso dell’imputato, e conferma l’approccio rigoroso in tema di esercizio della professione giornalistica. Veniva ascritto al prevenuto l’esercizio abusivo della professione ex art. 348 cp, sul presupposto che quest’ultimo, con metodica organizzativa stabile, e senza essere iscritto all’albo, partecipava a conferenze stampa, curava servizi di cronaca per una testata televisiva, commentava confronti politici. L’esercente abusivo, dopo due gradi di merito culminati con una sentenza di condanna, si è difeso dinanzi agli Ermellini sostenendo come, l’art. 1 L. N° 63/1969, in combinato disposto con l’art. 35 del medesimo corpo normativo, non fornisca una nozione restrittiva di attività giornalistica, così da escludere la stretta dicotomia tra giornalista professionista e pubblicista; residua un ulteriore ambito operativo, destinato a valicare le figure professionali tipizzate, senza tuttavia incorrere nell’esercizio abusivo della professione. Tale lettura, a detta dell’imputato avallata dalla comune esperienza di tipologie professionali affini, espletate pur in difetto di iscrizione all’albo -così il documentarista e l’articolista-, sarebbe avallata dalla stessa legge istitutiva dell’Albo dei Giornalisti, tale da ammettere, in forma residuale e tacita, l’esercizio autonomo della professione. Approdo di lettura confortato dall’art. 35 della citata novella, a tenore del quale l’iscrizione all’albo impone il compimento di attività pubblicistica retribuita per almeno un biennio. Di opposto tenore l’esegesi professata dai Giudici di Legittimità: premesso l’intangibile diritto di ogni cittadino ad espletare in via occasionale l’attività di giornalista -in ossequio ad un superiore corollario di libertà del proprio pensiero-, integra il delitto di esercizio abusivo la condotta di colui il quale, omessa l’iscrizione all’Albo, con continuità, onerosità ed impiego di mezzi, eserciti la professione, generando le oggettive apparenze di un professionista regolarmente abilitato. La metodica di esercizio della professione, sul piano temporale, strutturale e contenutistico, diventa così il distinguo immanente tra l’attività giornalistica lecita e l’abusivismo professionale punito dall’art. 348 cp (Cassazione Penale, sentenza 1 Marzo 2023, N° 8956).