La ingiusta detenzione per un mandato di arresto europeo obbliga comunque lo stato ad indennizzare l’imputato, a prescindere dagli esiti del processo penale nello stato estero.

La Corte di Cassazione respinge il ricorso dell’Avvocatura dello Stato, e ribadisce un chiaro distinguo, ai fini della eventuale domanda di ristoro, tra detenzione per effetto di un mandato di arresto europeo richiesto dalle autorità estere e carcerazione disposta per vicende infrastatali. Lamentava sul punto il Ministero l’erroneità della sentenza di merito, nella parte in cui ha accordato al detenuto un ristoro per un MAE reietto dalle autorità italiane, quale naturale approdo di una carcerazione rivelatasi indebita; il tutto senza verificare la sussistenza di una sentenza assolutoria in favore dell’imputato, da cui non è dato prescindere. Di opposto avviso la Corte di legittimità, la quale ha richiamato la lettura costituzionalmente orientata offerta dal Giudice delle Leggi, tesa a valorizzare la centralità dell’ingiusta carcerazione, a prescindere dagli esiti del processo (sentenza N° 310/1996). A tanto si cumula l’insegnamento derivante dall’art. 5 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che contempla il diritto alla riparazione delle vittime di arresto o di detenzioni ingiuste senza alcun distinguo. Il processo di erosione, come notorio, ha conosciuto importante avallo nella parziale declaratoria di incostituzionalità dell’art. 314 cp, in occasione della quale la Corte Costituzionale ha sottolineato l’esigenza di riparare tutte le offese alla libertà personale, a prescindere dalla durata e dalla autorità emanante. In disparte siffatti rilievi di fondo, la Corte ha evidenziato un altro profilo dirimente, che concerne la struttura medesima del MAE, costituente per lo stato “passivo” un atto dovuto, subordinato alla sola verifica che la segnalazione nel SIS sia stata effettuata da una autorità dello stato membro UE preposta a detti fini, e che osservi le forme richieste. La connotazione formale del mandato di arresto relega il controllo dell’autorità italiana (ovvero il Presidente della Corte d’Appello) ad uno scrutinio formale, consistente nella osservanza del presupposti di legge e nella coincidenza soggettiva del ristretto. Trattasi di detenzione che esula dalle modalità sancite dall’art. 391 cpp, ed i relativi presupposti sono da individuarsi negli artt. 9 e 13 L. 69/2005. Da ciò ne deriva una diversa disamina degli elementi volti ad appurare l’ingiustizia della fase detentiva, che prescinde allora dagli esiti del giudizio cui era finalizzato l’arresto (Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, sentenza 20255 del 12 Maggio 2023).

Studio Legale Avvocato Francesco Noto Cosenza Napoli

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