Rigetto domanda cittadinanza

Se ed in che misura la sussistenza di condotte penalmente rilevanti, seppure non confluite in un procedimento penale o in una sentenza di condanna, possono assumere valore ostativo alla concessione della cittadinanza italiana?

Tale interrogativo trova articolata risposta in una recente pronuncia del Consiglio di Stato, che ha ribaltato una prima pronuncia del TAR Lazio di rigetto alla domanda formulata dallo straniero.

In dettaglio, un cittadino straniero ha presentato domanda di concessione della cittadinanza italiana, che veniva tuttavia respinta, ex art. 9 L. N. 91 del 5 Febbraio 1992, dal Ministero dell’Interno, per il tramite della Prefettura, in quanto, riportava testualmente il provvedimento di diniego, “è emerso che nei confronti dell’interessato risulta la seguente situazione penale: -OMISSIS- – segnalato dalla Prefettura di Brescia per false dichiarazioni/attestazioni nella procedura di emersione – art. 5 d.lgs. 109/2012, T.U. delle disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa – art. 76 d.P.R. n. 445/2000…il pregiudizio penale sopraindicato è stato assunto a elemento di valutazione ai fini del giudizio prognostico sulla personalità complessiva del richiedente sotto il profilo dell’osservanza alle regole rispondenti al patrimonio valoriale della comunità nazionale”.

A tanto seguiva una impugnativa dinanzi al TAR Lazio, respinta tuttavia dall’Organo adito, sul presupposto che gli accertamenti istruttori operati dalla Prefettura, seppure non confluenti in un giudizio penale oppure in una condanna, fossero in ogni caso sintomatici di una scarsa aderenza ai valori della comunità, ed in detti termini ostativi alla concessione della cittadinanza. Fatti accertati nel decennio antecedente alla presentazione della domanda, ovvero nel c.d. periodo di osservazione.

Il reato di falso nelle dichiarazioni INPS, ascritto al richiedente e poi dichiarato prescritto nella fase investigativa, amplificava la possibilità di far confluire simili condotte nello sfruttamento dell’occupazione illegale, contraria all’art. 41 della Costituzione.

Tali elementi negativi non venivano obliterati dalla sopravvenuta prescrizione o dalla archiviazione del reato, idoneo ad interrompere la punibilità dell’indagato, ma non a suffragare la contrarietà ai valori etici cui deve rispondere il soggetto richiedente la cittadinanza.

I profili sopra analizzati, a detta del TAR Lazio, ben si prestano a compendiare il diniego al rilascio della concessione di cittadinanza, considerato doversi apprezzarne l’effettivo disvalore nell’ambito di una valutazione globale della personalità dello straniero ed il suo inserimento sociale e lavorativo, di modo da desumere il suo grado di integrazione e condivisione dei valori ispiratori del vivere civile.

Il Consiglio di Stato, adito dall’originario ricorrente, come anzidetto ribalta il convincimento del TAR Lazio, ritenendo essere difettare il provvedimento della prefettura di adeguata analisi degli elementi istruttori.

L’Organo di Appello, premesso il potere discrezionale in capo al Ministero dell’Interno nella concessione della cittadinanza, ritiene non potersi operare un netto distinguo tra gli elementi favorevoli al rilascio della cittadinanza e quelli ostativi, e ciò in quanto, anche un fatto astrattamente indicativo della mancata accettazione di quei valori e di quelle regole, se analizzato nel contesto di una più ampio, è suscettibile di perdere o comunque vedere attenuata la sua potenziale rilevanza ostativa alla concessione del beneficio in parola.

I fatti per i quali il richiedente la cittadinanza è stato indagato non hanno visto quest’ultimo partecipare fattivamente alla fase investigativa, così da esercitare il suo diritto di difesa, e dunque non può essere valorizzata sino al punto da assumere portata negativa.

Tanto è da assumersi soprattutto quando, come nel caso in analisi, tra la condotta contestata (tardivo versamento di contributi INPS) e la fattispecie di reato oggetto di segnalazione (false dichiarazioni rese nell’ambito di una procedura di emersione, ex art. 5, comma 15, d.l. n. 109/2020) non sia affiorato un nesso immediato di carattere probatorio, tale da rendere evidente la commissione del reato ascritto.

In detti termini, l’ipotizzato connubio tra la suddetta condotta omissiva e l’inesistenza del rapporto di lavoro, se può assumere rilievo quando si tratti di apprezzare la fondatezza dell’istanza di regolarizzazione, non può avallare, nel diverso procedimento di concessione della cittadinanza italiana, la falsità dichiarativa o la finalizzazione della condotta medesima ad aggirare il sistema di norme finalizzate a scongiurare il fenomeno dell’immigrazione clandestina, oppure, peggio ancora, quello ancor più grave dello sfruttamento della manodopera straniera.

Stesso approdo anche con riferimento alla rilevanza extra-penale del fatto: per il Consiglio di Stato, il tardivo versamento dei contributi INPS, in mancanza di ogni più concreta indicazione in ordine all’importo, alle modalità della condotta, alla sua collocazione temporale, alle sue eventuali circostanze giustificative ed al contesto in cui si è verificato, non avalla l’asserito dispregio verso i doveri di solidarietà che fanno capo allo straniero, anche quando questi assume le vesti di datore di lavoro (Consiglio di Stato, Sezione Terza, Sentenza 8464 del 30 Ottobre 2024).

Avvocato Francesco Noto – Roma Cosenza Napoli

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