La fiscalizzazione dell’abuso edilizio presuppone la anteriorità del titolo annullato rispetto alla costruzione divenuta poi abusiva.

Le Sezioni Penali della Corte di Cassazione seguitano nel dispensare letture assai restrittive della normativa edilizia, anche in ordine alla possibilità per il privato ad ovviare all’ordine di demolizione, qualora l’amministrazione abbia appurato la impossibilità ovvero la non convenienza del ripristino. Come notorio, nelle ipotesi di titolo abilitativo annullato nella sede giurisdizionale, l’art. 38 D.P.R. N° 165 2001 permette al privato fiscalizzare l’abuso edilizio, mediante versamento di una sanzione pecuniaria destinata a generare gli effetti del permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 TUE, e ciò anche nelle ipotesi di intervento assoggetto a segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A.); fattispecie salvifica che presuppone, come anzidetto, la motivata verifica di elementi ostativi alla riduzione in pristino del manufatto abusivo, e comunque la buona fede del privato, il quale abbia eretto un immobile confidando nella liceità del titolo edilizio, poi invalidato per via contenziosa. In disparte i presupposti obiettivi e volitivi citati, i Giudici di legittimità ritengono la norma imporre un duplice ed ulteriore distinguo, al fine di evitare che la pubblica amministrazione possa nei fatti condonare un abuso edilizio, deducendo ostacoli di carattere ripristinatorio. Innanzitutto il connubio tra l’elemento soggettivo e la premessa operata dalla norma in esame (“in caso di annullamento del permesso”), presuppone ritenere che la verifica dell’Ente pubblico in ordine agli effetti della demolizione afferisca ai soli casi in cui il manufatto sia stato costruito in base ad un titolo poi annullato, e non già nelle ipotesi in cui il permesso di costruire sia sopravvenuto per sanare l’abuso. Del pari, la impossibilita “di rimozione dei vizi delle procedure amministrative”, indicata dall’art. 38 TUE, riguarda i soli vizi formali e procedimentali, e non già profili di carattere sostanziale che, se rimessi all’arbitrio dell’amministrazione, infirmerebbero la cogenza del canone primario di legittimo affidamento del privato su cui si impianta la connotazione derogatoria della norma (Cassazione Penale, 11 Marzo 2023, sentenza N° 11783).

Studio Legale Avvocato Francesco Noto Cosenza Napoli

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